Besazio, tracce di rivoluzione

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Da qualche anno, forse anche perché sono arrivato a quell’età dove si tende a rivolgere sovente lo sguardo più al passato che al futuro, sto appassionandomi nel cercare di ricostruire la vita di alcuni miei antenati. E ciò pure in vista di un importante anniversario – il 2017 – che segnerà i cento anni dallo scoppio della Rivoluzione russa di Ottobre nel 1917.

 

Rivoluzione che, oltre a incidere sulla storia d’Europa del ‘900, ha segnato pure la fine della presenza di alcuni miei parenti a San Pietroburgo, quell’incredibile e affascinante città sulla Neva, sorta all’inizio del ‘700 grazie anche all’ingegno dell’architetto ticinese Domenico Trezzini; città dove nacque mio padre Sergio nel 1912.

• Non avendo io una formazione di storico, mi son mosso all’inizio in modo piuttosto dilettantesco ed empirico, rivolgendomi in primis alla cancellerie (o ex cancellerie) di alcuni comuni del Mendrisiotto; trovandomi però sovente confrontato, malgrado la buona volontà di alcuni funzionari, con difficoltà scaturite anche dalla fusione, o aggregazione che dir si voglia, di queste entità con la nuova Città di Mendrisio. Ciò è dovuto in gran parte anche al fatto che non si sia ancora riusciti a riorganizzare gli archivi in modo efficiente secondo le nuove realtà politico–ammininistrative. Ritengo perciò che questo problema, fonte di non trascurabili disagi, venga al più presto affrontato e risolto dalle competenti autorità. Ne andrebbe altrimenti di mezzo la conoscenza storica, anche locale, che è premessa indispensabile per il mantenimento dell’identità di una popolazione e della coesione di tutta la società. Con, addirittura, la messa  in pericolo della sopravvivenza della stessa democrazia.
Noi tutti esseri umani siamo fatti anche di memoria e di cultura in quanto prodotto della storia e delle generazioni che ci hanno preceduti. Tutti viviamo di passato (anche se inconsapevolmente), di presente (magari male), e di futuro… (perlomeno si spera). Ma senza il ricordo del passato, oltre a non vivere compiutamente il presente, corriamo il grosso rischio di non avere più un avvenire.

Tra i luoghi della memoria metterei i cimiteri. Di questi spazi dedicati al culto e al ricordo dei defunti, sono particolarmente interessanti molte tombe con relative lapidi risalenti soprattutto all’Ottocento e ai primi decenni del Novecento (con la metà circa del secolo scorso è iniziato, secondo me, un degrado estetico – culturale per il quale  dovrebbe essere aperto un altro, lungo discorso).
Sulle ultime dimore del Mendrisiotto esiste invece un prezioso volume di Fabio Soldini “Le parole di pietra” (Ed. Universitarie Friburgo,1990) nel quale l’autore ha censito tutti gli epitaffi che è riuscito in quel momento a rintracciare nei cimiteri del distretto. Se non ricordo male, il più recente epitaffio che Soldini ha scoperto nel cimitero di Mendrisio risale al 1968 e si trova sulla tomba dell’indimenticabile medico chirurgo Aldo Grigioni. Il più antico, del 1805, lo ha trovato nel  cimitero di Salorino e il più recente, del 1982, su una lapide nel camposanto di Capolago.
In un paese civile, oltre che per l’interesse storico, culturale, antropologico e per la loro grafica ed estetica, tali lapidi – monumenti, testimonianze di un’epoca irripetibile, dovrebbero essere protetti e conservati come documenti storici, indipendentemente dai loro contenuti più o meno laici o religiosi.
È anche per i motivi sopra esposti che visito da alcuni anni i campisanti dei nostri villaggi, scattando pure molte fotografie. Lo scorso 11 novembre, giorno di San Martino patrono del già “Magnifico borgo”, ho fatto l’ennesima capatina nell’antico cimitero di Besazio, mio comune d’origine. Si tratta di uno dei due soli «vecchi» cimiteri del Mendrisiotto (l’altro è quello – privato – della famiglia dei Torriani, adiacente la chiesa di San Sisinio, o della Torre). “Vecchi” cimiteri vengono chiamati quelli nei quali da molti decenni non vengono più effettuate sepolture (inumazioni).
Il vecchio camposanto di Besazio è situato ai piedi dell’antica parrocchiale di Sant Antonino del XVI secolo. La chiesa possiede un campanile che svetta in cima a un bellissimo poggio. Anche per l’eccezionale panorama che si gode da quel sito, Piero Bianconi lo ha definito, in uno dei suoi scritti, come forse il più bello del canton Ticino. Da questo sito lo sguardo spazia sulla Campagna Adorna e sulle retrostanti colline che anticipano la Pianura padana. Sapendolo molto interessato a questi luoghi, vi ho portato qualche anno fa Guido Ceronetti, che si trovava a Mendrisio per una convalescenza; era un caldo pomeriggio di luglio del 2012. Ma anche in quella luminosa mattina dello scorso 11 novembre sembrava d’essere in piena estate. Una squadra formata da due o tre muratori, inviata encomiabilmente sul posto dalla Città di Mendrisio, stava risistemando alcune parti del muro di cinta e alcune lapidi divenute piuttosto instabili. Ecco, mi son detto, per fortuna non tutto sta per fondersi, per aggregarsi… o per crollarci addosso. E mi si è aperto il cuore; anche perché è da questo posto, dove ero passato anche nel giorno del funerale di mia mamma, morta quasi novantanovenne a inizio marzo di quattro anni fa, che è iniziata la mia ricerca su alcuni antenati, partita dalla scoperta di un intrigante epitaffio sulla lapide funebre di un fratello minore di mio nonno Angelo Galli (1871–1947), tale Siro nato nel 1874 e morto nel 1893. Siro aveva da poco compiuti i diciannove anni, ma già era maestro di Scuola Maggiore. La lapide potrebbe essere opera del fratello Giovanni (Giovanella) marmorino (scultore/ lapicida), nato nel 1866 e morto a San Pietroburgo nel 1902, città in cui qualche anno dopo nacque mio padre. Mentre l’epitaffio l’avrebbe forse dettato il fratello Giuseppe (zio Peppino, 1862 – 1928) maggiore dei fratelli Galli e docente di lingue al Ginnasio di Mendrisio dove ebbe come allievi – da giovane professore – anche Francesco Chiesa ed Emilio Bossi (Milesbo).