Ci siamo. Un paio di giorni ed entreremo nella Settimana Santa, che per Mendrisio è sinonimo di Processioni Storiche, un evento spirituale e culturale che sarebbe sbagliato ridurre alla nota polemica attorno ai mori, di cui abbiamo ampiamente riferito. Partiamo da questo fatto di cronaca, proponendo quindi ai nostri lettori una riflessione che vuole andare oltre e toccare il senso più profondo del rito e della manifestazione, sia dal punto di vista dei credenti che da quello dei laici. Lo facciamo con Ernesto Borghi, noto biblista, presidente dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (ABSI) e coordinatore della formazione biblica nella Diocesi di Lugano.
Professor Borghi, partiamo da un breve commento sulla vicenda dei mori delle processioni storiche di Mendrisio.
Viviamo a livello locale e internazionale una fase storica complessa e confusa, in cui talora si dedica un’attenzione eccessiva a eventi e prese di posizione spesso davvero non fondamentali. La polemica che lei cita è un caso emblematico. Penso che sia opportuno anzitutto badare davvero al senso complessivo delle possibilità in campo per promuovere realmente la dimensione religiosa della cultura. Appare troppo spesso notevole la disattenzione anzitutto nelle scuole, nelle università e nei massmedia, nei confronti di un rapporto serio con la cultura religiosa anche come via fondamentale per capire il mondo in cui viviamo. Ecco dei motivi seri, mi pare, per andare oltre anche alla questione “quattro mori 2024”.
Al di là di questa polemica, come valuta queste tradizioni di devozione popolare, tra turismo e spiritualità genuina?
Cha cosa significa “tradizione”? Un contenuto tramandato alle generazioni successive alla propria credendo che sia importante anche per la loro vita. Ogni devozione religiosa che abbia un grande rilievo popolare deve essere compresa nel contesto in cui è nata ed è opportuno che ci si chieda sempre se ha qualcosa di seriamente significativo da dire anche all’umanità di ogni epoca successiva, dunque anche della nostra. Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (24 novembre 2013), documento programmatico generale del suo ministero di vescovo di Roma, papa Francesco scriveva, circa il tema della “pietà popolare”, che «a volte l’accento, più che sull’impulso della pietà cristiana, si pone su forme esteriori di tradizioni di alcuni gruppi, o in ipotetiche rivelazioni private che si assolutizzano. Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”» (n. 70). Ogni occasione di manifestazione collettiva della fede cristiana, che si radichi effettivamente nella parola di Dio contenuta nella Bibbia, concentrata sulla proposta di una vita pienamente bella e buona per gli esseri umani, può essere un’opportunità reale di umanizzazione radicale, dunque di apertura alla relazione con il Dio di Gesù Cristo. E anche le processioni storiche di Mendrisio possono rientrare, se proposte con questa attenzione, in questo quadro positivo.
Da biblista e credente, qual è il messaggio più profondo delle narrazioni evangeliche della passione di Cristo?
Passione significa, in particolare se riferita al Dio di Gesù Cristo di cui ci parlano i testi biblici, “appassionamento” e “sofferenza”. Gesù di Nazareth, che ha vissuto tutta l’esistenza per il bene dell’esistenza altrui, sceglie di evidenziare, morendo sulla croce, che il modo più umano per vivere non è cercare il dolore per il gusto di soffrire. È, invece, amare gli altri al punto di essere disposti anche a donare la propria vita giorno per giorno e, se indispensabile, anche in forma estrema. E nella quotidianità comune tante sono le persone che mettono a disposizione generosa di altre persone, da un capo all’altro del mondo, quello che sono e quello che hanno. Gesù, nel percorso che va dall’Ultima cena alle apparizioni come Risorto, fa esattamente questo in forma culminante e totale.
E a un non credente, in che modo suggerirebbe di accostarsi ai vangeli della passione?
Le versioni evangeliche contenute nel Nuovo Testamento e altre al di fuori di esso sono a disposizione di chi crede nel Dio di Gesù Cristo come di chi ha una diversa ispirazione culturale o religiosa. Se tutti imparano a leggere sempre meglio questi testi, cioè con criteri culturalmente seri che li portino a chiedersi che cosa quei brani dicano in se stessi e che cosa prospettino alla loro vita, essi, quale che sia la loro identità spirituale, non potranno non porsi domande sempre più approfondite, anche considerando la rilevanza di questi brani nell’esperienza di vita e nella cultura universali. Mi riferisco alle processioni di Mendrisio (insieme a tante altre manifestazioni analoghe della pietà popolare) e a rappresentazioni figurative come quelle presenti in milioni di chiese, santuari, musei ed altre istituzioni in tutto il mondo, vicine o lontane.
È possibile stabilire un legame tra i fatti di 2000 anni fa narrati nel Vangelo e l’attualità di oggi, nelle stesse terre in cui ha vissuto Gesù e altrove?
Gesù di Nazareth è Cristo, cioè l’unto del Signore, Messia, secondo i testi biblici, come testimone di un amore universale fatto di tale solidarietà verso gli altri da arrivare a proporre di amare i nemici e pregare per i persecutori (cfr. Mt 5,43-47). Sia Hamas sia il primo ministro israeliano Netanyahu e chi condivide il suo pensare ed agire, operano, nelle scelte sanguinose messe in atto, secondo logiche del tutto contrarie alla prospettiva evangelica, ma anche allo spirito etico fondamentale della Bibbia ebraica e del Corano, in nome di una mentalità fondamentalistica, prevaricatrice e oppressiva circa i diritti e i valori profondi degli altri.
Gesù di Nazareth è morto accettando, per amore, di subire la violenza altrui. Speriamo che in Israele/Palestina, in Ucraina/Russia e in ogni altro luogo del mondo ove la morte degli altri è perseguita, la Pasqua di risurrezione 2024 possa portare qualche apertura alla speranza per la vita bella e buona di chi ha troppi elementi oggi per averla perduta.