Contadini e Generoso, i problemi di sempre

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Fino al 14 settembre è depositato nelle cancellerie di Arogno, Breggia, Castel San Pietro, Melano, Mendrisio e Rovio il Piano di utilizzazione cantonale (PUC) del Monte Generoso. Si tratta di una revisione profonda di quello precedente, datato 1998.  La situazione attuale del settore primario è stabile rispetto a una ventina d’anni fa; ma, come allora, fragile e precaria.

Sono state censite 17 aziende principali, delle quali 7 contano su un reddito accessorio proveniente da altre attività non agricole, mentre 5 sono confrontate al problema della successione. Diverse aziende più piccole sono scomparse. Solo metà dei 630 ettari di superficie agricola utile (SAU) è annunciata e dunque rientra nella statistica; il rimanente è in stato d’abbandono, non è al beneficio dei pagamenti diretti o è gestita da hobbisti; persone che lavorano la terra per passione, magari dopo essere andati in pensione, che danno un contributo di rilievo, anche se “fuori statistica” nella cura dei loro fondi e del territorio in generale. Fra le aziende censite, ve ne sono di quelle che si occupano di biodiversità; non bisogna dimenticare le piccole aziende nate in questi anni a fianco dell’Associazione dei Comuni che si dedicano alla produzione e al commercio di prodotti caseari e alla valorizzazione del legname.

Fenomeno “inquietante”
Ma il bosco avanza, pur considerando una “frenata” generale dell’imboschimento in tutto il Ticino. Nell’alta valle di Muggio (Armirone, Vetta, San Giovanni di Tur, Cascina d’Armirone), il fenomeno è definito “inquietante” perché il bosco si mangia il paesaggio, che proprio il PUC deve invece difendere e promuovere (si pensi al Premio nazionale per il paesaggio conferito nel 2014 al Museo etnografico della Valle di Muggio). È ormai un ricordo il bosco luminoso: il bosco rado, in cui il taglio era regolare per la produzione di carbone, è diventato bosco fitto. Per fortuna alcuni enti pubblici e diversi proprietari riuniti in un nuovo ente di recente costituzione si stanno impegnando per promuovere la cura del bosco con progetti sostenuti dall’ente pubblico.

Investimenti scarsi,
invece nella pianura…
Se in valle non si investe a breve, sarà ben difficile promuovere i due princìpi essenziali declamati dal PUC: “la cura del territorio e il mantenimento di una tradizione rurale viva”. È triste costatare, facendo il confronto con il “vecchio” PUC, che l’obiettivo collocato allora sul tavolo, “il consolidamento dell’attività agricola”, non sia stato realizzato: lo si legge nel nuovo PUC; ed è come se gli “ammortizzatori” programmati per la valle, per arrestare una crisi del primario che allarma l’intero Paese, non abbiano funzionato. In una vent’anni, dal 1995 al 2015, nei Comuni del comprensorio sono stati stanziati contributi pubblici di poco superiori ai 2 milioni di fr per migliorie strutturali nel settore agricolo della Val di Muggio. Briciole, se si considerano le decine di milioni investiti dall’ente pubblico nella pianura del Mendrisiotto nel medesimo periodo, si pensi soltanto agli edifici dell’USI e della SUPSI costruiti a Mendrisio. La situazione, così com’è descritta nel rapporto, è contradditoria: “sorprende il basso livello d’investimento per il settore delle bonifiche (da intendere, visto il contesto, anche come recupero di terreni inselvatichiti o già invasi dal bosco), tenuto conto della volontà espressa dagli agricoltori di volere disporre di maggiori superfici di terreno agricolo”.

I vigneti invece dei pascoli
È senz’altro positivo sapere che il numero delle aziende è rimasto quello del primo PUC e così pure gli ettari di pascoli produttivi. Ma si poteva certamente fare di più.
A tenere in vita il settore e a ricacciare indietro la boscaglia ha contribuito in qualche modo la coltivazione della vite, con il fenomeno della sostituzione. Anche nella nostra valle c’è stata un’estensione dei vigneti che hanno occupato superfici fino a ieri destinate al foraggio. Per esempio, ad Arogno, negli ultimi 12 anni, la superficie vignata è cresciuta del 65%. La viticoltura garantisce un buon reddito. Senz’altro migliore, a quanto pare, di altri redditi settoriali: tra Val Mara e Valle di Muggio, i capi bovini censiti sono appena 150; nel Novecento soltanto a Muggio c’erano oltre 200 bovini. Si fa molta fatica a tenere animali da reddito in valle, pur considerando che il profilo genetico delle bestie di allora era ben diverso da quello odierno. Oggi la quantità di latte ottenuta per ogni capo è ben superiore a quella di cent’anni fa. Scarsa invece l’attenzione dei contadini verso la cura del bosco, affidata alle aziende pubbliche o private come pure nei confronti della gestione dei prati secchi, si legge nel rapporto.
I problemi, in Valle di Muggio, sono quelli di sempre: gli accessi stradali, i contratti d’uso dei fondi, la frammentazione delle proprietà, le pendenze, gli ostacoli naturali nei fondi che impediscono l’uso di macchinari moderni; il suolo, che non giova alla crescita di buon foraggio, la scarsità di acqua, la poca collaborazione fra i contadini e i produttori, la progressiva presenza di selvatici; la mancanza di buoni terreni – determinanti nella produzione di latte, praticamente l’unico indirizzo dell’agricoltura odierna in valle di Muggio.

Poco o nulla è rimasto
Non è sempre stato così. Fino al 1945 era ancora viva la campicoltura, sui terrazzamenti dei paesi, costruiti al prezzo di dure fatiche dai proprietari, la cui identità economica era quella dei “contadini poveri”. Segale, orzo frumento, dunque; ma anche estese superfici per le vacche, le capre e le pecore che in gran numero popolavano le stalle e i ricoveri, su e giù dagli alpi. Pratiche antiche, di cui poco o nulla è rimasto: quando oggi pensiamo alla transumanza, ci riferiamo ai cavalli del Bisbino, protagonisti di vicende molto amate dalla popolazione. Per contro, la transumanza vera, quella dei capi di bestiame, è praticata soltanto da quattro agricoltori dell’alta valle, di cui tre in età avanzata e senza successione. Quanto alla campicoltura, tranne rare eccezioni, è inesistente: le citate SAU sono interamente erbai.

Difficili accessi
agli agriturismi
E l’agriturismo? Quattro aziende offrono pernottamenti o/e ristorazione a Scudellate, alla Muggiasca, a Roncapiano e all’Alpe Grassa. Ma anche queste nuove presenze, che offrono qualche opportunità in più ai contadini di montagna, presentano problemi: l’accesso a tutti gli agriturismi sul Generoso (e al grotto Baldovana) avviene lungo la strada dei Cassinelli “che si trova in pessimo stato. Più di un agricoltore ha indicato questo aspetto come penalizzante per l’attività agrituristica sul Monte”, si legge nel rapporto.