(p.z.) Le ampie vetrate lasciano filtrare una luce primaverile sulle 13 cucitrici impiegate alla Carristar, ultima camiceria di Arzo la cui chiusura purtroppo è imminente: sarà per fine aprile. Negli ampi locali che visitiamo, fra bottoni, rotoli di tessuti, e macchine da cucire, si sono susseguiti 79 anni di produzione di camicie e altri prodotti sartoriali curati in ogni dettaglio. Alta qualità. A guidare questo percorso, di generazione in generazione, è sempre stata la famiglia Carri. Una storia fatta di impennate di produzione e vendite ma anche di cali della cifra d’affari. Siamo di fronte all’ultima camiceria di Arzo che nei tempi d’oro ha dato lavoro fino a 70 impiegate. In quegli stessi anni nel Comune della Montagna si contavano tredici camicerie, un fiore all’occhiello dell’economia del Mendrisiotto. Da allora, le condizioni economiche ed il contesto generale sono profondamente mutati.
Incontriamo Paolo Carri (terza generazione) e il nipote Davide Carri (quarta generazione) che hanno ritirato la ditta nel 2013. Insieme hanno tentato varie vie per evitare la chiusura compresi un miglioramento dei costi e la riduzione dei loro stessi salari ma soprattutto un marketing impostato sullo Swiss made 100% ed il prodotto confezionato “su misura”. E proprio la filosofia dello Swiss made alla quale hanno tenuto fede sempre si scontra con le attuali condizioni di mercato. “Sì, noi abbiamo fatto la scelta di mantenere qui la produzione – spiega Paolo – e non trasferirla all’estero come hanno fatto molte aziende” retribuendo stipendi molto bassi in Paesi lontani. In questo settore vi sono anche ditte che producono all’estero e poi realizzano alcune rifiniture in Svizzera definendo poi il loro prodotto “Swiss made”. Per la famiglia Carri non è stato facile optare per il vero “Swiss made” e poi trovarsi in un contesto socio-economico che è passato attraverso l’industrializzazione del settore e oggi spinge sulla concorrenza delle vendite on-line, dei negozi d’oltre confine e anche delle vendite nel Mendrisiotto curate da marchi che appunto producono all’estero. “Aggiungerei – è Davide che parla – la diminuzione in Ticino del numero di “colletti bianchi” dovuta alle ristrutturazioni nelle banche e in diversi altri ambiti del terziario. Con questo settore noi lavoravamo bene. Senza contare che la precarietà dei posti di lavoro (in generale) induce la gente a risparmiare”. La clientela dell’azienda è soprattutto privata ma conta anche dei rivenditori oltre San Gottardo dove pure sono calate le vendite. Della ditta attuale è stata fatta una valutazione positiva. Il problema è la diminuzione del lavoro e i costi fissi cui fare fronte. “Basti pensare che oggi come oggi produciamo 1/3 delle camicie su misura che producevamo 4 anni fa ed è proprio la formula del “su misura” che ti fa fare un margine di guadagno perché di camicie in serie ne possiamo fare all’infinito ma non ci aiutano a far quadrare i bilanci”.
• Un filo che continuerà
Tuttavia, zio e nipote stanno cercando un modo per assicurare un filo continuativo all’azienda di famiglia. Si lavora a trattative con degli operatori del settore che potrebbero rilevare una parte dell’attività e di conseguenza forse anche assumere alcune delle cucitrici attualmente impiegate ad Arzo. “Lo facciamo anche per garantire ai clienti la possibilità di continuare a servirsi dei nostri prodotti ai quali sono affezionati. Alcuni di loro quando hanno saputo che andiamo verso la chiusura, hanno chiesto un appuntamento per prendere le misure per le ultime camicie”.
• La parabola Carristar
La camiceria viene fondata nel 1939 da Domenico Carri, affermato imprenditore ticinese. Il sogno era quello di fornire ai clienti camicie di qualità superiore con tessuti ottimi. Sono circa una quindicina le cucitrici impiegate e quasi tutte della regione. A quel tempo è l’unica industria del paese al di fuori della cava (che occupa solo uomini), e quindi conosce un grande sviluppo. La guerra che scoppia quell’anno riduce la manodopera a solo personale svizzero, a causa della chiusura alle frontiere. Negli anni ‘40 decolla la produzione e arrivano diversi incarichi da clienti di spicco. Terminata la guerra, sono numerose le donne del luogo che vi lavorano. Domenico affida la direzione dell’azienda ai figli Silvio e Lino che porteranno la Carristar fino all’inizio degli anni ‘60 quando Giorgio e Daniele, figli di Silvio, vengono chiamati a dare il loro contributo alla realtà imprenditoriale di famiglia. Attorno agli anni ‘50/‘60 le cucitrici sono una cinquantina e piano piano divengono sempre più frontaliere. Nel ‘55 vengono ampliati gli spazi della produzione e negli anni a seguire viene toccata un’impennata di 65/70 cucitrici. Ma la parabola è destinata a scendere. Il numero delle impiegate si riduce a poco a poco fino a una trentina. Quando passano al beneficio della Pensione Giorgio e Daniele (proprietari dello stabile in cui è in affitto l’azienda), ad assumere le redini sono Paolo (un altro figlio di Silvio) e Davide (figlio di Daniele). E siamo nel 2013. Le impiegate sono attorno alle 13 e rimarranno tali fino alla fine. Inizia a quel momento una situazione di mercato molto delicata che metterà in difficoltà moltissime aziende del settore sartoriale.
• Quando ad Arzo le camicerie
erano tredici
e vi lavoravano in 700
Di giorno il paese raddoppiava. “Potevano essere gli anni ‘60/’70” suggeriscono i nostri due interlocutori. Sappiamo – da racconti di famiglia – che vigeva buona collaborazione fra le fabbriche e forse anche… concorrenza. Il settore cresce e migliora fino agli anni ‘80 quando iniziano le prime difficoltà. Gli ordinativi diminuiscono inesorabilmente. Ad oggi nella regione resistono ancora piccole realtà, ma di nicchia, produttori di camicie personalizzate e su misura. Un mondo che va scomparendo.