L’Officina della ghiaia. E delle opposizioni

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(red.) Sugli stessi fondi oggi “contesi”, il Municipio di Riva San Vitale aveva rilasciato la licenza edilizia per la costruzione di un impianto di betonaggio. La procedura era andata in porto rapidamente, senza troppi intoppi né censure particolari. I terreni appartengono all’impresa di pavimentazioni stradali Botta, che nel 2015, scomparso il fondatore, ha cessato l’attività. Poi il promotore, un imprenditore della zona, aveva rinunciato al progetto, lasciando scadere la licenza. Ora il terreno è stato affittato dalla famiglia Botta ad una società che lavora nel settore degli inerti. Si chiama Officina della ghiaia e ha presentato un progetto per un deposito e il riciclaggio di questi materiali, contestato dai residenti e dagli ambientalisti, in particolare dall’Associazione Cittadini per il territorio.
“La nostra società, che investirà a Riva San Vitale parecchi milioni di franchi, è sicura di aver presentato un progetto ben fatto, all’avanguardia, assolutamente rispettoso dell’ambiente e delle norme pianificatorie, all’insegna di un’edilizia consapevole, nell’ambito della quale noi lavoriamo”, spiega all’Informatore il direttore dell’Officina della ghiaia, l’arch. Mario Roca.

I fondi in questione, nel Piano regolatore di Riva, prima situati in zona artigianale/industriale, erano stati trasferiti qualche anno fa in zona industriale, senza che nessuno presentasse obiezioni. Alla luce di tale cambiamento, sembra assai poco probabile che le autorità comunali e cantonali cambino di nuovo indirizzo ai fondi, come chiesto dagli opponenti, secondo i quali quella zona è troppo a contatto con le abitazioni sorte negli ultimi anni sulle sponde del Laveggio per poter ospitare un impianto industriale. E poi, si legge nelle opposizioni, l’impianto farà rumore, ci saranno camion dappertutto e aumenterà l’inquinamento. Tuttavia nel settore del commercio degli inerti non sono pochi coloro che intravedono, celati in mezzo alle opposizioni, tentativi da parte della concorrenza, ben rappresentata anche in seno alle autorità, di influenzare le decisioni, affinché l’impianto non si faccia o venga ostacolato ad oltranza. Ma la società tira dritto, sicura di rispettare tutte le norme pianificatorie e ambientali in vigore nel contesto di un’iniziativa imprenditoriale che il Cantone vede di buon occhio.

È ben chiaro che gli impianti, le fabbriche, i depositi debbano potersi costruire in zone lontane dagli abitati. Tuttavia il territorio ticinese è quello che è; e le zone industriali sono spesso a contatto con quelle abitative. Un esempio, dalle nostre parti, è quello di Gorla, al confine tra Castel San Pietro e Balerna, dove una gigantesca raffineria di metalli preziosi è attiva a due passi dalle case. Proprio come qui, alla “Segoma”, tra Riva e Capolago, dove, prima dell’arrivo del nuovo inquilino, sui fondi in questione, non si fabbricavano caramelle ma asfalto, senza che nessuno dicesse nulla, anche nelle ore notturne, quando il Cantone chiamava per posare asfalto di notte. Alcune case sorgono subito vicino.
L’Officina della ghiaia SA dispone di un deposito a Lugano. L’attività è uguale, né più né meno, a quella di tante altre altre ditte: demolizioni speciali, importazione di ghiaia e inerti dall’Italia ed esportazione di macerie non riciclabili. A Riva San Vitale/Capolago la società ha trovato il luogo ideale per sviluppare un’altra attività sinora poco praticata, quella del recupero dei materiali, in particolare il beton da demolizioni e il materiale roccioso contenuto nei terreni scavati. In un mucchio di materiale inerte da demolizione, si può recuperare circa la metà; percentuale che sale fino al 90% nella terra da scavo, recuperando sassi, pietrisco, sabbione. Quantitativi enormi, quasi tutti sottratti al recupero perché si butta quasi tutto nelle discariche, spesso non autorizzate.
A Riva San Vitale ci si muoverà nel pieno rispetto della legalità, con prezzi favorevoli alle imprese, in rapporto a quelli d’uso nelle discariche o nell’export, perché i materiali, dopo la lavorazione, saranno rivenduti sul mercato. La società luganese ne fa, prima di tutto, una questione di ragionevolezza, di edilizia sostenibile: non si possono buttar via tonnellate di materiali buoni al riuso, è doveroso andarli a prendere; il beton riciclato, per esempio, va bene per strade, piazzali, piste, mentre i sassi sono utili per mille impieghi, come il drenaggio; i due materiali si possono usare da soli, o miscelati, in varie gradazioni. Lavori che verranno fatti dalle macchine dell’impianto. Il materiale portato dalle imprese con i camion verrà fatto salire su una rampa per essere caricato in una tramoggia, una sorta di grande imbuto, da cui scenderà per essere trasformato dai vari tipi di vaglio e nei frantoi. Il “nuovo” materiale sarà quindi depositato all’esterno, nella sosta esistente, con relativi separatori, a disposizione dei vari impieghi nell’edilizia.
L’intera superficie – formata da piccoli caseggiati e un magazzino, che saranno demoliti, da piazzali, impianti dismessi, depositi di vario tipo – sarà completamente riordinata. Al centro, al posto del magazzino, sarà costruito l’edificio con gli impianti e gli uffici, arretrato di 5 metri dalla stradina che costeggia il Laveggio, di modo che l’attività di carico, vaglio e frantumazione sarà nettamente separata dal passaggio dei pedoni e delle biciclette. Particolare attenzione sarà posta sulla protezione dell’ambiente e all’insonorizzazione: i nastri trasportatori saranno incapsulati per evitare polveri e rumori; anche i trax per movimentare i materiali saranno muniti di un filtro in funzione antirumore.
L’accesso sarà su via Segoma, il medesimo utilizzato dalla ditta Botta; è una strada di carattere industriale poco utilizzata, lontana dalle abitazioni; il numero degli autocarri varierà a seconda della giornata; i camion serviranno ai bisogni dell’edilizia della regione per gli inerti “freschi” portati dall’Italia; per quanto riguarda i riciclati, si ragiona in termini meno locali: il riciclo fatto in loco comporta sicuramente un numero di movimenti inferiori rispetto a quello dei camion che dal Ticino allontanano verso l’Italia i materiali non riciclati.
Un bel po’ di chilometri in meno.