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(red.) Quasi sempre a fare le spese della violenza domestica è la donna: è capitato ad Ascona in giugno, quando il marito ha sparato alla moglie per strada; a Bellinzona ai primi di luglio: qui, il lui di turno è finito in prigione con l’accusa di aver gettato dal sesto piano la moglie; è accaduto a Genestrerio/Stabio, tre anni fa, quando un uomo ha accoltellato la moglie, prima di suicidarsi, portando con sé in macchina la donna ormai morta. Per non parlare di quanto accaduto alla maestra di Stabio, uccisa per mano di un famigliare nella sua casetta, lo scorso anno.
Un bilancio tanto severo – quattro donne uccise da uomini a loro vicini in appena tre anni – in un territorio così piccolo come il nostro, aiuta a capire la dimensione della violenza domestica di lande ben più vaste, come l’Italia: un caso ogni tre giorni. L’ultima a finire sui giornali, all’inizio di questa settimana, è stata una donna di Bari picchiata a morte dal compagno ubriaco, che le aveva rimproverato di non aver lavato i piatti.
“La violenza domestica è un problema che dobbiamo putroppo affrontare abbastanza regolarmente”, dice a l’Informatore il maggiore Patrick Roth, comandante della Polizia della Città di Mendrisio, “dalla violenza verbale a situazioni più gravi. E l’alcool fa la sua parte”.
Farla franca è meno facile
Il fenomeno, negli ultimi anni, si è esteso, tanto che il legislatore, nel 2008, ha introdotto modifiche importanti con lo scopo di rafforzare il principio della punizione per chi commette reati da codice penale fra le mura di casa, sperando di farla franca. “Prendiamo la minaccia, indicata nell’art. 180 del CP. È punibile su querela di parte. Ma se la minaccia è pronunciata nella quotidianità della coppia, di solito in casa”, spiega il comandante Roth, “il colpevole è perseguito d’ufficio”. Dice, infatti, l’articolo: “chiunque, usando grave minaccia, incute spavento o timore a una persona, è punito, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. Il colpevole è perseguito d’ufficio se si tratta del coniuge della vittima e la minaccia è stata commessa durante il matrimonio o nell’anno successivo al divorzio”.
Roth: “molti cittadini con il senso civico”
Non è un ruolo trascurabile quello della Polizia di prossimità, come quella di Mendrisio – ma anche di Chiasso e di Stabio – nell’affrontare il problema di chi alza le mani in casa. Se è vero che la “gestione” dei reati contro l’integrità personale che si possono commettere fra le pareti domestiche ai danni del coniuge spetta alla Polizia cantonale – vie di fatto, violenza carnale, minaccia, coazione, ingiuria, lesioni semplici: si veda l’elenco completo nel grafico qui pubblicato – gli agenti delle polizie locali non si limitano a dire “fate i bravi” alle coppie su di giri. Sono infatti formati per capire in fretta di che cosa si tratta, quando giunge in centrale la segnalazione da parte di terzi, o dalla donna stessa. “Abbiamo ancora la fortuna di avere nei nostri paesi molti cittadini con il senso civico, attenti a quanto a accade intorno a loro, pronti a chiamare la polizia quando sentono le grida venire dall’appartamento vicino o di qualcuno che si sente in pericolo”, racconta Patrick Roth. Sono gli agenti della città ad avvertire i colleghi della “cantonale” nei casi sospetti e manifesti di reato; ed è ancora la polizia di prossimità a controllare che l’ordine di allontanamento – l’altro provvedimento di protezione adottato nel 2008 in Ticino – sia rispettato dal coniuge o dal compagno violento e manesco; nei casi urgenti è la polizia locale a far scattare le misure coercitive e quelle di protezione dei minori, attuate nelle apposite strutture, aperte di recente a Mendrisio, a disposizione di tutto il Cantone.
Dopo il primo, un secondo intervento?
In tre dei casi elencati all’inizio (Stabio/Genestrerio, Bellinzona, Ascona), è stato accertato che le forze di polizia o le amministrazioni comunali erano già state chiamate dai vicini prima del dramma; o, perlomeno, i vicini sapevano. Chiediamo a Patrick Roth se una “seconda visita” degli agenti, accompagnati da persone formate in ambito sociale, o comunque la possibilità di tenere d’occhio le situazioni di crisi dopo il primo intervento, potrebbe ridurre il numero delle violenze domestiche, diminuendone il rischio. “È un’ipotesi di lavoro. Ma mi chiedo dov’è la discriminante. Noi non possiamo fare la presa a carico. Lo facciamo solo in caso di pericolo imminente. Capita sovente che una coppia si metta a litigare. Ma da qui a minacciare il coniuge, di solito la donna, c’è comunque una differenza”. In ogni caso, precisa il comandante, “La sensibilità degli agenti nel capire la situazione è determinante. In ogni caso è giusto sapere che le due polizie, di prossimità e cantonale, collaborano strettamente: noi riceviamo dal Comando il dettaglio di tutti gli interventi svolti nelle abitazioni dai colleghi in città e nei quartieri. Le segnalazioni ci arrivano, ci vengono dati gli indirizzi, spesso le persone ci sono note. Il nostro, se vuole, è un ruolo di mediatore, di catalizzatore delle informazioni (conosciamo bene il territorio) ma anche di “smistatore” di procedure penali o di protezione, di competenza di altre autorità”, conclude Roth.