La Galleria Mosaico di Chiasso presenta al pubblico una retrospettiva dedicata all’artista svizzero Rolf Meyer (Basilea 1913 – Besazio 1990), uno tra i più interessanti pittori del panorama elvetico del Novecento. La mostra, a cura di Barbara Paltenghi Malacrida, intende proporre una visione complessiva ma al contempo specifica dell’evoluzione stilistica di Meyer attraverso un’attenta selezione delle opere più significative appartenenti alla collezione privata della famiglia, all’interno di quell’iconografia che più di tutte Meyer ha approfondito fino a trasformarla in spazio d’indagine prediletto di un sentire preciso e puntuale: la natura morta.
L’inaugurazione è in agenda sabato 14 marzo alle 18 con la presentazione della curatrice. L’esposizione si potrà visitare fino al prossimo 25 aprile, dal martedì al sabato, dalle 15 alle 18 o su appuntamento, telefonando allo 079 446 83 09.
La rassegna conta una quarantina di lavori (30 opere su tela e un nucleo di 12 acquerelli di cui molti mai presentati in precedenza) e costituisce dunque un punto di vista estremamente importante nell’interpretazione dell’arte di Rolf Meyer.
Il pittore basilese si è dedicato alla natura morta sin dagli esordi. Durante la permanenza a Roma nascono le prime opere ibride: bicchieri di vetro, ceramiche e frutta inseriti nel primo piano di dipinti d’ispirazione paesaggistico-architettonica. Negli anni del successivo soggiorno a Firenze la natura morta assume un ruolo preponderante: gli oggetti gli consentono infatti di avviare una fase sostanziale di sperimentazione a livello formale, strutturale e cromatico. La sua opera viene influenzata dall’arte italiana antica e da quella a lui contemporanea. Suggestioni che, nel tempo, si uniscono a quelle per un certo gusto di stampo cubista che negli anni Sessanta lo portano a realizzare una serie di opere dal forte carattere geometrico.
Nel 1966 si stabilisce a Besazio, dove risiede fino alla morte. Negli anni ticinesi il tema subisce nuove trasformazioni. A una stagione post-cubista e transitoria succede nei primi anni Settanta una fase più minimalista: toni scuri, contorni nitidi e concentrazione nella definizione delle sfumature cromatiche. Anche le dimensioni delle tele subiscono sensibili variazioni attinenti al significato della rappresentazione.
Negli anni Ottanta, piccoli dipinti dal soggetto rigoroso lasciano il posto agli ultimi grandi lavori, il riassunto di un intero percorso; forme dilatate, forti constrasti di chiaro-scuro, sostanza materica opaca e ombrosa quale sintomo dell’ineluttabilità di un’esistenza che stava giungendo a conclusione.