“No. Oggi non c’è. È andato a Milano insieme agli altri per la conferenza-stampa di presentazione delle proiezioni oltre confine di La Palmira, Ul Film. Stasera invece saranno a Varese”. La gentile voce al telefono è quella della moglie di Germano Porta che tutti conoscono in arte come Milieta. Quando lo incontriamo, non ci fa mancare un sorriso e due battute.
“Ho 79 anni ed il 31 maggio prossimo dirò stop alla mia professione: 65 anni di attività nel campo dell’idraulica. Sono un tipo attivo!” A non mollare invece è la Milieta che, dopo il primo film della Palmira, si prepara a girare il secondo (cfr. l’Informatore del 18 aprile scorso). Ma torniamo alla professione di trumbée, come si dice in gergo milanese, dal rumore che facevano le canne dell’acqua di un tempo.Come si è avviato al suo mestiere?
Era il 20 marzo del 1949 quando ho iniziato a lavorare a Varese con mio padre. Sono nativo di Baraggia di Viggiù. Mio padre lavorava per conto proprio ma gli affari non sono andati bene e così io mi sono trasferito a Mendrisio. Dal ‘56 al ‘69 ho lavorato nella ditta “Fratelli Maroni”.E poi che è successo?
Nel ‘69 (ricordo che era l’8 aprile!) abbiamo messo su la ditta Murari e Porta ed in questa formula abbiamo lavorato fino al Duemila. Da quell’anno in poi ho continuato a lavorare come collaboratore della ditta Murari e Murari.Ci racconta un dettaglio della differenza fra il fare l’idraulico 65 anni fa e oggi?
All’inizio si andava in bici sui cantieri a fare i lavori. Era un impegno soprattutto manuale. Bisognava però anche ingegnarsi a trovare delle soluzioni tecniche. Oggi invece esiste molto materiale già predisposto e si usano i macchinari.Più fatica allora o al giorno d’oggi?
Direi che ai tempi era una fatica più fisica ma oggi c’è maggiore stress. Bisogna fare in fretta altrimenti sei tagliato fuori. E con gli anni questo fattore psicologico viene a pesare.Ci vogliono i nervi buoni…
A me è sempre piaciuto lavorare. E anche un po’ di adrenalina nel sangue non mi è mai pesata. Se non mi imbattevo in qualche gabola giornaliera… quasi quasi non ero soddisfatto. Sono caparbio, un po’ germanico di mentalità, e mi piace incaponirmi finché non risolvo l’inghippo. Devo dire che ho anche avuto grandi soddisfazioni nel lavoro.Se parliamo di soddisfazioni allora…
… posso dire che, non essendo nato a Mendrisio, è una grande gioia per me capire che la gente mi vuole bene e mi ha sempre voluto bene. Forse perché ho la parola facile, non ho mai litigato e cerco – anche sul lavoro – di alleggerire le situazioni anche impegnative con qualche battuta. Non per nulla sono nato il 1° aprile! Certo che le persone si aspettano sempre l’allegria di una barzelletta o di una battuta e possono esserci momenti particolari in cui non sei nello spirito giusto.La gente le vuol bene per il carattere, per il suo modo di lavorare ma di certo anche per il suo côté artistico sviluppato fianco a fianco alla Palmira.
Il mio far teatro è iniziato negli oratori. Ma ancor prima, la mia fortuna è stata un prete del mio paese nel Varesotto che ha creduto in me: mi assegnava da fare discorsi in pubblico quando ancora ero giovanissimo e poi sono iniziati i saggi di fine anno ed i teatri sotto “lo zio Benito”. Le locandine fatte a mano con le insegne: “Dramma in tre atti, seguirà la farsa finale”. A me assegnavano sempre parti da vecchio, burbero autoritario. A Mendrisio invece una sera ho incontrato don Ambrogio Bosisio. Con lui c’era Rodolfo Bernasconi che all’epoca io non conoscevo. Mi guardò e disse: “Questo ha una faccia da far teatro”.E aveva ragione.
La faccia ma anche il carattere. Alla conferenza-stampa di Milano mi hanno chiesto come faccio a trasformarmi così totalmente in scena. Ma io sul palco sono al naturale, cioè il mio carattere è giocoso. Il Signore mi ha dato la facoltà di improvvisare ed una buona memoria.Però il teatro e ora il cinema sono un grande impegno.
Sì. Ricordo tutti gli anni delle commedie. Finivo di lavorare alle sei e mezza. Arrivavo a casa, una doccia, un po’ di pane e prosciutto e via a fare le prove. Ma il vero merito di tutto il successo della Compagnia Comica di Mendrisio è da attribuire a Gianna e Rodolfo Bernasconi che hanno dato vita a questo teatro e sono stati in grado di gestire quel complesso sistema di collaborazioni con gli altri.E con Rodolfo sulla scena o sul set come è?
È sempre bello! Segui le sue indicazioni, gli ubbidisci per amicizia. Lui è diplomatico.Non sulla scena ma nella sua vita reale, lei ha visto da vicino la guerra (gli ebrei che fuggivano) ed ha attraversato anche periodi delicati per la salute. Che cosa aiuta nella vita?
Il carattere, l’ottimismo, il fatto di mai darsi per perso, mai pensare che non c’è soluzione. Uno si alza la mattina ed ha già ricevuto un gran dono: essere vivo. Ogni tanto credo che la gente dovrebbe pensare che deve morire: non farebbe certe stupidate!Tipo cosa?
Accumulare beni ad ogni costo, fare affari anche se in certi casi ad impoverirsi poi sono molte famiglie. Essere egoista. Vedo troppa disonestà con la cravatta. Per cambiare idea basterebbe fare un giro nelle corsie degli ospedali.Nel senso che si va al nocciolo della vita?
Già. Io sono credente ma non bigotto. Anzi mi ritengo leggermente contestatore rispetto al sistema gerarchico della Chiesa come si è proposto fino ai giorni nostri. Mi conquista invece il nuovo Papa Francesco perché mi riconosco in una fede più modesta, attenta ai poveri.Ci può salutare con un motto che riassume bene il suo modo di porsi nella vita quotidiana?
Mi sum mi. E sum mia né süperiur né inferiur a nisün. Ogni persona ha bisogno dell’altra e tutti abbiamo sempre da imparare dagli altri. Se diamo, riceviamo anche.