La mia vita in testa al treno

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Raimondo Cereghetti ci anticipa un po' i contenuti del suo libro.

“Lui ci ha regalato una rara descrizione dell’attività della sua professione di macchinista” e “possiamo definirlo a ragione come l’ultimo dei nostri fuochisti del vapore” scrive Graziano Gianinazzi, già ispettore di esercizio a Bellinzona, nella prefazione dell’autobiografia di Raimondo Cereghetti di Novazzano. Il libro – dal titolo “La mia vita in testa al treno” – sarà presentato giovedì 7 novembre alle ore 20 nella Sala Cattaneo di Novazzano. Quel che si nota sfogliando il volume è che i lunghi anni vissuti da Raimondo quale macchinista sono anche un po’ la storia del Mendrisiotto e della vorticosa evoluzione conosciuta dalla tecnologia sui binari in quest’ultimo secolo. La passione di Raimondo Cereghetti è particolarmente legata a quella che alcuni definiscono come la ferrovia romantica. La locomotiva a vapore – della quale si affascinò anche Carducci – infatti è rimasta nel cuore a Raimondo come una fedele amica e non come un mostro di ferro che si alimenta con il carbone e sputa fumo. Si sentirà meno legate alle locomotive elettriche alle quali è passato in seguito, prive di quell’armoniosa espressione rumorosa e con quel meccanismo celato da completo rivestimento. Il macchinista ovvero quell’uomo cui non è concesso sbagliare.

Ci porta il libro in redazione con una visibile soddisfazione in volto e dicendo: “È quasi pronto, ancora alcuni ritocchi e poi andrà in stampa”. Raimondo Cereghetti è stato macchinista di manovra a Chiasso tra quei 160 km di binari dalla galleria di Monte Olimpino alla “Passeggiata” di Balerna, nello spostamento di pesanti colonne di carri merci svolgendo i suoi compiti in quel complicato meccanismo del traffico internazionale di confine di allora. Con le locomotive elettriche ha percorso infinite volte la tratta dal Gottardo dominando forti salite e discese. Il libro – “La mia vita in testa al treno” – racconta la sua vita ma anche l’ambiente ferroviario di quegli anni. Molto noto nella sua Valle di Muggio – Cereghetti ha 82 anni ed è al beneficio della pensione dal 2004.

Come è nata quest’idea di raccontare i suoi 40 anni vissuti nel contesto ferroviario?
Ho frequentato per diversi anni il corso di autobiografia di Norberto Lafferma, docente di italiano, e poi, una volta in pensione, mi è venuta voglia di raccontare la mia vita.

Nella prefazione del libro, Graziano Gianinazzi scrive che lei ha sognato sin da ragazzo di diventare macchinista, un affascinante lavoro. Ci può descrivere dei momenti belli che ricorda di questo suo lungo percorso?
Una volta, il giorno di Natale, un viaggiatore è venuto nella cabina di comando e mi ha regalato una penna e un notes. Un gesto per nulla scontato. Mi sono sentito felice! Un’altra volta era l’ultimo dell’anno e un capotreno mi ha portato un centesimo nuovo di zecca che proveniva da un suo viaggio!

E quali sono stati i momenti più difficili?
Era il 1° gennaio di molti anni fa. Stavo andando a Zurigo con un treno diretto e in una semicurva, all’entrata della stazione di Lugano, una donna di circa 60 anni era lì ad aspettarmi, in mezzo ai binari. Guardava verso il lago. Ho fischiato a più non posso con la locomotiva ed ho attivato la frenata d’emergenza. La donna si è girata verso di me, ci siamo guardati negli occhi e poco prima dell’urto lei si è inginocchiata ad aspettare.

Come si fa a superare uno shock del genere?
So che qualcuno non è riuscito a superare uno spavento del genere e ha dovuto cambiare lavoro o chiedere aiuto. Io ho preso 15 giorni di “malattia” e sono salito a Scudellate a tagliare la legna per mia mamma… a quel tempo c’era ancora.

Nelle sue 97 pagine, il libro narra il percorso formativo, il trasferimento a Chiasso, i pericoli del macchinista: passare un segnale principale chiuso, i sorpassi di velocità e appunto i suicidi sulla tratta. Ma racconta anche dei molti colleghi con i quali ha condiviso il percorso professionale e della mitica fabbrica del ghiaccio Celoria a Chiasso che riforniva di ghiaccio tutti i treni di derrate alimentari che giungevano a Chiasso. “Ogni canna di ghiaccio pesava 20 kg per cui gli operai alla sera potevano essere davvero stanchi. Ogni giorno si riempivano dai 300 ai 400 vagoni. La ditta chiuse i battenti verso il 1990 perché dopo l’apertura dell’autostrada, il traffico di derrate alimentari via treno scomparve”.
E ancora, Cereghetti ripercorre alcuni incidenti ferroviari verificatisi in Ticino in quegli anni come – nel 2002 – quello avvenuto all’entrata della stazione di Chiasso quando un treno merci in entrata da Como si scontrò con una motrice ad una velocità stimata di 80 km orari invece dei 30 previsti; vi morirono i due macchinisti del treno merci e ci furono 5 feriti gravi fra i quali i 2 macchinisti della locomotiva investita e un ferroviere di Balerna. L’incidente più grave avvenuto in quegli anni in Ticino fu invece quello del 13 aprile 1924 a Bellinzona: causò la morte di 15 persone. Ci fu uno scontro fra due treni a causa di uno scambio difettoso.
E poi quello terribile del 1976 a Sant’Antonino dove uno scuola-bus in transito dal passaggio a livello venne investito da un treno diretto; il conducente e 7 allievi morirono mentre 2 rimasero feriti gravemente.

Il volume, edito dalla Tipo Print di Mendrisio, costa 20 franchi e una parte del ricavato sarà devoluta alla Lega contro il cancro e al Cardiocentro.