Rinchiusi senza colpe

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Un gruppo di lavoratori attorno al Padiglione degli intemperanti ossia la Valletta di Mendrisio.

“Fino al 1981 in Svizzera decine di migliaia di persone sono state internate in istituto senza una sentenza giudiziaria e senza aver commesso alcun reato. Pur basandosi su numerose leggi, la prassi delle autorità risultava problematica dal punto di vista dello Stato di diritto ed era spesso arbitraria. Di frequente era sufficiente che una persona fosse definita “oziosa” o “dissoluta” perché fosse rinchiusa per anni in un istituto” (1).
Nel 2014 il Parlamento federale ha riconosciuto il torto inflitto alle vittime e ha ordinato un’analisi storica del fenomeno ad una Commissione peritale indipendente. Il frutto dell’approfondita ricerca, collocata nel contesto della storia svizzera, è stato pubblicato in 10 poderosi volumi nel 2019. Questa sintesi, che suggerisce pure delle raccomandazioni per la riabilitazione delle persone coinvolte, costituisce una solida base per condurre una seria discussione politica e storica sulle misure coercitive a scopo assistenziale e sui collocamenti extrafamiliari.
La ricercatrice ticinese Vanessa Bignasca ha partecipato al gruppo di studio, mettendo a fuoco le condizioni di vita in alcuni istituti della Svizzera interna e in Ticino, tra cui quello per gli ‘intemperanti’ della Valletta a Mendrisio.
Le misure coercitive comprendevano un’ampia casistica. Dai collocamenti amministrativi alle sterilizzazioni, dalle adozioni alle sedentarizzazioni forzate di intere comunità come gli Jenisch.
Tra le vittime di questi provvedimenti si distingue generalmente il mondo degli adulti da quello dei fanciulli. Se la realtà degli uomini (rei di essere alcolizzati, oziosi e vagabondi) e quella delle donne (accusate di violare la morale sessuale) risulta ora almeno in parte indagata anche in Ticino, per il mondo dell’infanzia le indagini di un progetto del Fondo nazionale sono ancora in corso e il fenomeno è, per il momento, difficile da quantificare.
Dal profilo qualitativo disponiamo però di due testimonianze commoventi, fresche di stampa: quella di Sergio Devecchi, Infanzia rubata. La mia vita di bambino sottratto alla famiglia (ed. Casagrande) e quella di Matteo Beltrami, Il mio nome era 125, l’odissea di un bambino vittima di un collocamento in un istituto di correzione (ed. Ulivo).
Come fu possibile che almeno 60’000 persone furono rinchiuse, costrette a lavorare senza remunerazione, spesso sottoposte a violenze fisiche e psicologiche?
Tali violazioni del diritto allora vigente non suscitarono reazioni e controversie?
Quali erano le condizioni di vita quotidiane in questi “centri rieducativi” e che rapporti avevano con il mondo esterno?
Queste e altre questioni molto concrete e puntuali, di solito ignorate dai manuali di storia, saranno al centro dell’incontro con Vanessa Bignasca, domenica 2 febbraio, alle 17.30, presso la Filanda di Mendrisio.


RS

  1. Commissione peritale indipendente Internamenti amministrativi, L’arbitrarietà istituzionalizzata. Internamenti amministrativi in Svizzera 1930-1981. Rapporto finale, Vol. 10C, Zurigo, Neuchâtel, Bellinzona, 2019.