Casvegno, la mia famiglia è il club

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Sono soltanto gli alberi, alti e maestosi, ad essere rimasti così, come quarant’anni fa; e forse neppure tutti perché, in parte, hanno dovuto cedere alla fame di cemento che diventa sempre più acuta intorno al parco.

Per il resto è cambiato tutto: i padiglioni sono diventati piccoli foyer, porte e cancelli sono senza chiavi, si va e si viene – per quanto riguarda il pubblico, ma anche, in parte, i malati –  come si vuole; e soprattutto – dice un paziente – “a volte non riesco a capire se chi mi sta davanti è un malato come me o uno che lavora con noi”. Merito del Club ‘74? A quarant’anni di distanza dalla sua costituzione, alcuni operatori, allora giovanissimi, tracciano un bilancio; ma, soprattutto, tentano di ricostruire quel passaggio cruciale che dovrebbe portare la società – i medici, il pubblico, le istituzioni… – a collocare la follia, con le sue numerose declinazioni, sul medesimo piano delle altre malattie del corpo.
Trasferimento che non si è ancora concluso perché curare una mente malata –  a causa di una depressione, di uno choc, di una predisposizione genetica, di una scarsa resistenza alle croci della vita o di chissà cos’altro – rimane una faccenda complicata. “Non sono proprio contento dei miei dottori, mi sento rinchiuso, i farmaci dovrebbero darmeli nella forma ambulatoriale”, dice un paziente,  che oggi è stato invitato a questa particolare “tavola rotonda”, cui siedono, oltre al giornalista, altri ammalati ed operatori. “Per me il Club ‘74 è come una famiglia, dice una signora, un posto per non isolarsi, un luogo anche di lavoro perché qui organizziamo il carnevale, la bancarella della sagra dell’uva, la festa campestre, scriviamo il giornalino”.
Tutto un altro ambiente rispetto a quello “carbonaro” dei primi tempi del club. “Ci trovavamo in uno scantinato, che gli stessi pazienti avevano preparato insieme a noi. Eravamo, come dire, “antipotere”, contro le regole”, ricorda un animatore, pensando a quegli anni; dalle università erano giunti  a Mendrisio professionisti formati secondo i nuovi concetti delle cure psichiatriche, diffusi soprattutto in Francia e Italia. Quando sono arrivato loro, si applicavano già a Casvegno i primi rudimenti della socioterapia; ed era davvero la rivoluzione perché si stava lasciando l’epoca dei reparti in cui i pazienti erano chiusi a chiave. C’erano circa 800 persone, quasi tutte in quelle condizioni! Una concentrazione tale che i reparti erano a volte delle pentole a pressione. Uomini e donne raramente potevano vedersi, si salutavano dalle finestre dei padiglioni. Adesso i pazienti sono120 nella clinica e poco più di un centinaio nel Centro abitativo, ricreativo e di lavoro, CARL. Non è che siano diminuite le malattie mentali, anzi; ma vengono curate in modo diverso; molti utenti abitano negli appartamenti e vengono qui a Casvegno durante la giornate per partecipare alle varie attività proposte dal Club e dalla socioterapia. “Meglio, molto meglio il Club del laboratorio protetto”, dice qualcuno seduto alla tavola rotonda; un altro utente sostiene invece che la struttura psichiatrica pubblica ha una marcia in più rispetto a quelle private, che egli pure ha dovuto frequentare, proprio per le maggiori possibilità date ai pazienti di rimanere ancorati alla vita reale. “La mia famiglia non c’è, è questa la mia famiglia” dice un’altra paziente.
Una mano decisiva alla promozione della dignità del paziente psichiatrico verso il grande pubblico la diede il documentario di Bellinelli e Borghi che per la televisione proposero nel 1976 “Il villaggio dei matti”, ricordano gli operatori di allora; un’opera che contribuì non poco a spiegare il cambio di passo.
La presenza di pubblico all’interno della vasta struttura di Casvegno oggi è quotidiana: i bambini, con i genitori, frequentano il parco giochi; la partecipazione alla festa camprestre è sempre numerosa; ma sono anche i pazienti a proporsi: il gruppo In-Formazione, composto da pazienti ed animatori è invitato spesso presso le scuole per parlare dell’esperienza psichiatrica, dell’impegno, chiesto a tutta la società, giovani generazioni comprese, di capire la malattia psichiatrica, evitando di mettere al bando chi ha la sfortuna di esserne colpito. “Siamo accolti sempre molto bene nelle scuole, con rispetto per la nostra situazione”, afferma un paziente.
Un lavoro continuo, minuzioso, caparbio, quello che si svolge dentro Casvegno per migliorare le condizioni dei pazienti: nell’ultimo anno, per esempio, “siamo a zero contenzioni fisiche”, dicono soddisfatti gli operatori del Club 74. Ciò significa, spiegano, che nessuno ha dovuto essere legato o trattenuto a letto dagli infermieri con la forza a causa delle sue condizioni; è infatti stata attivata un’équipe volante, che viene avvertita e si reca sul posto quando la crisi diventa acuta. “È bene avere memoria perché per abolire queste pratiche disumane ci sono voluti decenni. Il futuro è la salvaguardia di tutto ciò”, concludono i responsabili del Club 74.