“Abbiamo ricevuto la chiamata da Israele sui numeri fissi. Una voce ci diceva “Per favore lasciate le vostre case, fra 2 ore bombarderemo”. Abbiamo creduto che fosse uno scherzo ed abbiamo continuato a dare da mangiare ai bambini. Dopo due ore, dai balconi abbiamo visto colonne di fumo che si alzavano poco distante. In pochi istanti si è infiammato tutto. Siamo partiti immediatamente con quello che avevamo in mano e basta”. A ricordare il panico di quei momenti è una madre di 27 anni che, dopo aver viaggiato parecchie ore in mezzo al caos di molti altri che fuggivano allo stesso modo, è riuscita a trovare rifugio al Centro Mariapoli dei Focolari situato a una ventina di chilometri da Beirut e conosciuto da alcuni momò, come spieghiamo più avanti. “Sì, da noi sono arrivati la sera. Provenivano da cinque regioni dell’estremo sud del Libano” spiega Zeina Chahine impegnata nel Centro dei focolari dal 2021 dopo aver vissuto un periodo in Siria. In quanti erano a chiedere riparo? “Ne abbiamo accolti 102 e poi il giorno seguente altri 20. Sono tutti musulmani e – a parte alcuni uomini – gli altri sono bambini, adolescenti e donne. Un padre è venuto ad accompagnare la famiglia e poi rientrato perché aveva del bestiame da accudire. In generale gli uomini non lasciano le loro case per la paura che vengano occupate. Chi invece scappava ha lasciato dietro di sé distruzioni. Stanno attaccando la gente, non c’è niente di militare. Nella catastrofe sono finiti molti bambini. Un ragazzino di 10 anni aveva i brividi, non riusciva a smettere di tremare per il freddo e la paura. Un altro uomo è arrivato all’una di notte: erano in 10 in macchina”. In che modo potete occuparvi di tutti?, chiediamo a Zeina Chahine. “Per ora diamo loro un tetto e cerchiamo il modo per dare a tutti da mangiare. Una donna è arrivata incinta e deve partorire”. Come stanno? “Sono sempre sui loro cellulari per contattare le persone che hanno lasciato a casa. Verificano se sono vivi. Parecchi anziani hanno voluto rimanere a casa propria, avevano troppa paura delle bombe per uscire in strada. E a cinque minuti di distanza è “full” anche l’Istituto IRAP”. Istituto che sostiene i bambini sordi in Libano, realtà di cui abbiamo riferito negli scorsi anni per la presenza sul posto (dal 2014 al 2022) di Marie-Lise Devrel, originaria di Mendrisio.
Dal sud del Libano quindi i fuggitivi si spingono più al centro per trovare rifugio. E questo fiume di centinaia di migliaia di persone aggrava la situazione del Paese che è già molto fragile. Negli ultimi giorni, lo ricordiamo, il sud del Libano è stato colpito da intensi bombardamenti israeliani. Questi attacchi – iniziati lunedì 23 settembre – hanno causato la morte di oltre 560 persone fra le quali ci sono più di 50 bambini. Israele sostiene di aver colpito obiettivi militari di Hezbollah mentre il Libano accusa Israele di bombardamenti indiscriminati e in risposta ha lanciato centinaia di razzi che hanno colpito il Nord di Israele. Quest’escalation di violenza vi fa vivere… “in angoscia. Ora più niente è sicuro. Questa volta non è come le altre, ora siamo certi che il conflitto si allargherà a tutto il Paese” sostiene Zeina. Per ora non hanno invaso via terra, giusto? “Sì ma non è che la via aerea faccia meno paura. Vi ringrazio per pregare per noi”. “La storia si ripete ancora oggi e cioè 18 anni dopo la guerra del 2006 – questo messaggio è del dottor Philippe Hage – quando abbiamo ricevuto delle famiglie di rifugiati al Centro Mariapoli de Ainaar, provenienti dal Sud (un centinaio di persone). Ieri sera tardi, nella notte abbiamo accolto molte famiglie che in gran parte erano le medesime del 2006. Ci aspettiamo di accogliere altre persone nelle prossime ore. Il dramma si ripete ma anche l’accoglienza, nella speranza che questa situazione non si prolunghi troppo a lungo e che Dio possa intervenire per fermare questo ciclo di violenza indescrivibile”.
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