Poveri, ma eravamo felici

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Pensione Crou (Anni 20?) Documento ricevuto da Fiorenzo Rossinelli.

Domenica 28 aprile la rubrica “Storie” della RSI proporrà il documentario di Ruben Rossello, con la partecipazione del grafico artista Orio Galli “Odissea di una famiglia”. È la vicenda d’una famiglia ticinese emigrata in Russia sotto gli zar e poi in Abruzzo durante il fascismo. Lutti, sconfitte e guerre affrontate senza mai perdere la speranza e con la forza di una famiglia sempre unita.
In questa pagina Orio Galli narra, per i lettori de l’Informatore, un’altra vicenda, quella che lui definisce “una piccola storia inedita, svoltasi a Mendrisio tra il 1944 e il 1945”.

Questa è una piccola “storia” che risale alla Milano dei primi anni Quaranta del secolo scorso, di cui sono venuto a conoscenza da poco tempo; mi ha incuriosito e ho cercato di saperne di più, dovendo comunque fare a meno dei testimoni diretti perché ormai purtroppo non ci sono più. Riguarda la mia famiglia, il papà Sergio e la mia mamma Adele, ma soprattutto Mendrisio, dove ho vissuto fino al 1967. I miei genitori si sono conosciuti a Milano nella seconda metà degli anni Trenta. Mio padre Sergio (1912–1983), patrizio di Besazio, era giunto nella capitale lombarda qualche tempo prima dal Ticino. Io sono nato a Milano il 15 ottobre 1941 alla Clinica Mangiagalli: non mi mangiarono comunque, anche se in quegli anni la guerra svuotava le dispense.

Dai nonni, a Villa Treccani
Dopo il conflitto la mia famiglia si stabilì a Mendrisio. Se i miei nonni paterni abitavano negli Abruzzi, a Torre de’ Passeri – finiti lì da San Pietroburgo in seguito alla Rivoluzione russa d’Ottobre del 1917 – i nonni materni stavano a Milano. Un paio di volte l’anno andavamo a trovarli con il treno. Il nonno era giardiniere nella villa di una famiglia nobile, benestante, quella di Giovanni Treccani (1877-1961). Giunti alla Stazione Centrale mi aspettava la nonna, con i suoi soffocanti abbracci; era ormai senza denti ma con gengive così dure che riusciva a masticare di tutto.
Un giorno il nonno Ambrogio mi disse: “ul fiö di sciuri al vö fa l’artista…”. Si trattava di uno dei figli di Giovanni, Ernesto (1920–2009) che sposò Lidia De Grada. Uno dei loro due figli, Giulio, è nato alla Maternità di Mendrisio il 1. novembre 1944, quando la mia famiglia già abitava nel magnifico borgo, in via Antonio Brenni. Cosa ci facevano i Treccani a Mendrisio, visto che a Milano stavano bene? Giulio – che ho conosciuto poche settimane fa a Milano. in un incontro lungo e emozionante – nacque a Mendrisio perché i suoi genitori furono costretti a lasciare l’Italia: suo padre Ernesto Treccani, oltre ad essere artista, era infatti impegnato nella lotta antifascista. Ripararano appunto nella nostra regione, come tanti altri italiani, che diventavano “internati”.

Le memorie della “Signora compagna”
Lidia De Grada, sua madre, ha lasciato scritto le sue memorie, pubblicate da Teti Editore a Milano nel 1994, in un libro intitolato “Signora compagna”. “Ero felicissima di vedere Ernesto aperto alla vita civile, attivamente impegnato nella lotta antifascista; andava in tipografia a ritirare i pacchi della stampa clandestina, ma un giorno fu riconosciuto. Dovemmo fuggire. Ogni giorno ricercare chi ci avrebbe ospitato per la notte. Vagare continuamente da un luogo a un altro stando attenti a non compromettere gli altri compagni. (…) Varcammo il confine e riparammo in Svizzera. Io aspettavo un bambino. Il piccolo Giulio Garibaldi nacque alla Maternità Cantonale di Mendrisio il primo novembre del 1944”.

Garantiva uno svizzero
Continua Lidia De Grada: “Era una notte di plenilunio ed ero lontana da tutte le persone che amavo. Ernesto, che godeva, come me, della libertà su garanzia di uno svizzero, sotto falso nome, girava i campi di internamento per organizzare il Partito tra gli internati. Tenevano scuole di preparazione ideologica, si occupavano del rientro di chi tornava a combattere, del passaggio di armi oltre frontiera. Ritornò in Italia prima di me per partecipare all’insurrezione. Durante l’anno di guerra trascorso nell’esilio a Mendrisio vivevo per mio marito e il mio bambino: pensavo che una volta finita la guerra e tornati in Italia le cose sarebbero continuate così con qualche disagio in meno. A Mendrisio abbiamo vissuto un anno d’amore, poveramente, e siamo stati molto felici. Ernesto, diventato responsabile del Partito in Svizzera, per non estraniarmi dalla sua attività, portava a casa i giornaletti, li commentava, mi spiegava come stavano le cose. Io gli facevo trovar pronta la cena, a base di caffelatte scaldato su un fornellino elettrico nell’unica stanza della cascina di Cru [o non piuttosto Crou?] che serviva da camera. Qualche volta, quando il bambino dormiva, andavamo insieme alla Casa d’Italia. C’erano rifugiati appartenenti a tutti i Partiti e si tenevano conferenze. Conobbi l’avvocato socialista Antonio Greppi (futuro sindaco di Milano) e il repubblicano Ottolenghi. Nella mia ingenuità non mi rendevo neppure conto che la diversità delle forze che avevano contribuito a formare il fronte comune contro Hitler e il fascismo sarebbe riemersa a guerra finita. Eppure avevo sentito mio zio, Carlo Weber, ricco commerciante di giocattoli, svizzero, che aveva sposato la sorella più giovane di mio padre, commentare l’incontro sull’Elba delle truppe sovietiche e americane, con un laconico: “Si prepara la terza guerra mondiale”.
Lidia De Grada, l’autrice di queste memorie, era sorella di Raffaele De Grada (1916-2010), “Raffaellino” per distinguerlo dal padre Raffaele De Grada (1885-1957) noto pittore. Raffaellino era venuto anche a Mendrisio, nel 1991, nella sua funzione di critico d’arte – e lì ebbi occasione di conoscerlo – per la presentazione di una mostra di fotografie su Alberto Giacometti al “Vela” di Ligornetto”, per la quale realizzai il manifesto.

Monetti? Pedroli? Guglielmetti?
Ho cercato notizie dei Treccani nel saggio di Renata Broggini (1932–2018) “Terra d’asilo – I rifugiati italiani in Svizzera 1943–1945”. Ho trovato questa nota a pagina 143: “Quaderno per la registrazione dell’interrogatorio all’ingresso: Treccani degli Alfieri Ernesto, di Giovanni, nato a Milano il 26.8.20, ingegnere. Rifugiato politico, e moglie Lidia di Raffaele, nata a Milano il 28.3.20. Accettato uff. Pol. Cdo terr. 9b. Sagno. Mancano purtroppo orario e data. Nota a pag. 191: “ Garanzia di continuità era pure la presenza sul posto dei compagni responsabili: Treccani nel Ticino, Giulio Einaudi a Losanna…”.
Ma chi potrebbe esser mai stato lo “svizzero garante” per i Treccani, menzionato nelle memorie di Lidia De Grada, che assicurava alla coppia, e a Ernesto in particolare, la libertà di muoversi in anonimato svolgendo attività politica su suolo elvetico? Forse Pietro Monetti (1904–1975), già allora segretario del Partito del Lavoro, fondato proprio in quel 1944 a Mendrisio? Oppure il fotografo Gino Pedroli (1898–1986) che ospitò in quel periodo per un certo tempo a casa sua Giovanni Battista Angioletti? O lo xilografo Aldo Patocchi (1907–1986), che in quegli anni abitava in via Antonio Brenni a Mendrisio, nella stessa via dove ha abitato la mia famiglia, in una casa di campagna di certi Torriani–Beffa?
Diversi svizzeri aiutarono in quel periodo storico rifugiati italiani. Attraverso ulteriori ricerche ho saputo che fra loro ci fu pure l’avvocato Giulio Guglielmetti (1901–1987) sindaco di Mendrisio dal 1942 al 1972.

La pensione Crou
Della pensione Crou, di cui ha scritto Lidia De Grada, ho anch’io un ricordo abbastanza vivo. Il nome è forse dovuto ai suoi primi gerenti, d’origine francofona? Chissà. Ai miei occhi, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli Anni Cinquanta, la pensione si trovava a metà di quella strada, che da dietro la Chiesa Prepositurale di Mendrisio, punta dritto salendo verso Salorino. La vedevo bene dalla finestra della mia camera dove allora abitavo, all’incrocio tra via san Damiano e via Croci, dove oggi vive l’architetto Botta. Era una costruzione semplice, simmetrica, a due piani, di color giallo zafferano, con tre o più arcate sicuramente almeno al piano terreno. Devo averla pure disegnata una volta, seppur da distante. Ma poi mi sembra che questa casa probabilmente di inizio Novecento sia stata abbattuta per far posto a più moderne costruzioni di lusso. Mi è stato riferito che a una di queste proprietà si fosse recentemente interessato per l’acquisto, pronto a sborsare sette/otto milioni, addirittura un magnate russo… Quando della storia si dice: “i flussi, e i riflussi…”.

I camicini della “Maternità”
I Treccani tornarono a Milano e nel 1946 Lidia mise al mondo Maddalena. Ecco cosa ha lasciato scritto al proposito nel suo libro di memorie già citato: “All’alba del 26 ottobre nella casa di cura “Città di Milano” nacque Maddalena, una bella bimba tranquilla. Alle prime luci del giorno Ernesto corse a casa a prendere i camicini per vestire la neonata; nel frattempo la bambina fu avvolta nel cotone. Avevo lasciato a casa i camicini perché alla Maternità Cantonale di Mendrisio, dove era nato Giulio, l’ospedale forniva tutto il necessario. I bambini erano vestiti tutti uguali come piccoli forzati”.

Oggi Maddalena Treccani, maritata Muzio, vive a Milano ed è psicoanalista. La sua famiglia si occupa della Fondazione Corrente, in via Carlo Porta 5 a Milano, dov’è custodito il patrimonio artistico di Ernesto Treccani. Le ho scritto alcuni anni fa, chiedendo se avesse qualche ricordo di mio nonno Ambrogio, che lavorò presso di loro nel secolo scorso. Ecco la risposta: “Ho in mente suo nonno Ambrogio, allora io ero una bambina, una figura con un sorriso gentile, magra e un po’ curva, forse con i baffetti (di questo non sono sicura) che si occupava del giardino della casa di via Montebello, soprattutto della serra piena di piantine, sopra la collinetta, dove spesso andavo a curiosare. Quanto alla situazione logistica che lei descrive, probabilmente si trattava della casa di via Carlo Porta, in parte bombardata, adesso sede dello Studio/Museo, dove c’era la serra, che era anch’essa proprietà di mio nonno Giovanni Treccani. Questo è quanto ho raccolto, ma dopo la sua lettera mi si è presentata l’immagine di suo nonno, ben presente nella mia prima infanzia. Una piccola restituzione. Per questo la ringrazio ancora e la saluto cordialmente”.
Cosa potrei ancora aggiungere, oltre che di aver subito verificato su una foto di mio nonno Ambrogio la presenza di baffetti: baffetti bianchi che effettivamente c’erano? E che “il potere del ricordo” può ancor oggi valere, in certi casi, molto più di poco sicure e labili, digitali “memorie” da computer.

Orio Galli

(n.d.r.) Giovanni Treccani, imprenditore, fondò con il filosofo Giovanni Gentile nel 1925 l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana che pubblicò dal 1929 al 1937 con ottimo successo i 35 volumi dell’Enciclopedia Italiana (Fonte: Wickipedia).