Un po’ c’è già la scuola che verrà

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Chiasso, 17 marzo 2008 - ragazzi e ragazze della Scuola Media di Chiasso (FOTO FIORENZO MAFFI)

(red.) A partire dall’anno scolastico 2016 alcuni istituti scolastici potrebbero già sperimentare parte dei modelli disegnati nella riforma della scuola obbligatoria, secondo le linee tracciate nel documento “La scuola che verrà”, pubblicato nel dicembre scorso dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport. Manuele Bertoli, consigliere di Stato e direttore del DECS sottolinea nel documento che molte delle idee proposte “sono state ispirate da pratiche già oggi esistenti nel nostro Cantone; buone pratiche purtroppo rimaste isolate, a volte terminate con la carriera dei docenti che le avevano condotte”. L’ obiettivo, scrive Manuele Bertoli, è di migliorare il quadro in cui avviene l’apprendimento.

 

Si lavora, per intanto, intorno alle idee e ai principi: il risultato del confronto pubblico sulla “scuola che verrà”, aperto a chiunque si interessi di scuola ed educazione, servirà per costruire modelli pratici, introducendoli poi nella realtà dal 2016 in avanti, perlomeno come esperienze-pilota.  
La riforma, dunque, non è un esercizio teorico ma è nata in buona parte tra le pareti della aule scolastiche. Il lavoro a gruppi attorno a temi specifici con l’intervento di più insegnanti in discipline diverse, per esempio, non è certamente una novità, soprattutto nella scuola media. Si tratta ora, secondo il Dipartimento, di tradurre questi metodi nel sistema-scuola, accompagnandoli con le indispensabili riflessioni pedagogiche di principio. Esperienze, ma anche domande, che gli insegnanti già si fanno da tempo. Ora il DECS offre alcune risposte. Per esempio:   
•  La conduzione dell’insegnamento nella stessa aula da parte di due e più docenti, sin dalla scuola dell’infanzia, può essere più stimolante rispetto a quello impartito da un solo docente.  
• Una scuola che dia una solida formazione di base a tutti è preferibile ad una prassi scolastica che seleziona gli allievi in funzione del raggiungimento degli obiettivi di un programma.  
• Una maggiore autonomia gestionale degli istituti scolastici rispetto al Comune nel settore primario e al Cantone nelle “medie”, al di là delle questioni amministrative (statuto del docente, ecc.) può rafforzare il senso di appartenenza alla scuola di allievi e insegnanti.
• Un documento che accompagni, con parole e valutazioni pertinenti, anno dopo anno, lo sviluppo cognitivo e sociale dell’allievo può sostituire, o perlomeno integrare, giudizi e pagelle.   
• La scuola favorisca una didattica rivolta alla scoperta e all’apprendimento, piuttosto che alla trasmissione e all’insegnamento.

Il Dipartimento, e gli stessi insegnanti, sono consapevoli che il progetto, se rimanesse privo di condizioni di attuazione favorevoli, iniziando dalle risorse finanziarie, potrebbe naufragare in un mare di parole. Quanti soldi occorrono per mettere in piedi una scuola che impiega due, tre, quattro didattiche diverse per garantire un buon bagaglio di competenze anche agli allievi più deboli, più sfortunati, più “stranieri”, più fragili? Una scuola che non sia uguale per tutti ma corrispondente alla “personalità” di ciascun allievo? Buone idee e buone pratiche, insomma, non bastano: occorre, prima di tutto la volontà di mettersi in discussione; ma sono pure indispensabili degli interventi incisivi nella formazione dei docenti, nella produzione didattica, nell’accompagnamento; e nell’aggiornamento delle aule che spesso hanno spazi angusti per attività che non siano quelle tradizionali. Le scelte, a questo punto, diventano inevitabilmente politiche.

Il documento “La scuola che verrà. Idee per una riforma tra continuità e innovazione” può essere consultato sul sito del Cantone. Nell’immagine la prima pagina del Progetto.