
Un nome e un volto noti. E un ruolo decisamente importante. Giovan Maria Zanini, 65 anni il prossimo 6 giugno – 37 anni nell’amministrazione cantonale, dal 1988 farmacista cantonale aggiunto e dal 2004 titolare a tutti gli effetti – si appresta ad andare in pensione alla fine del prossimo mese. Ma il suo spirito energico e intraprendente e l’attività frenetica sono tali, che il traguardo di una carriera appare ancora lontanissimo. Dal 1° luglio gli subentrerà Francesca Bortoli. Zanini rimarrà invece fino a fine anno in seno al Consiglio di Istituto di Swissmedic. Varcato l’ingresso della sua sede di lavoro, a Mendrisio, all’interno del Parco Casvegno, sulla porta a vetri compare la scritta a caratteri cubitali “Ufficio farmacista cantonale”. Eppure, in tema di farmaci la situazione non è affatto rosea: in Ticino la carenza ha assunto dimensioni preoccupanti: dai 500 ai 660 medicamenti mancano infatti all’appello e tra questi un centinaio di importanza vitale: antibiotici, anti-tumorali, antinfiammatori, psicofarmaci.
“Si può dire che fino a vent’anni fa nessuno avrebbe immaginato che saremmo arrivati a questo punto. Abbiamo sempre avuto abbondanza di farmaci e certi prodotti erano disponibili in modo praticamente illimitato. E oggi, paradossalmente, siamo costretti a fare salti mortali per trovare dei farmaci assolutamente banali che invece in passato gestivamo a centinaia di migliaia di dosi, tanto che potevamo fornirli anche ai paesi in via di sviluppo. Adesso la carenza è manifesta: stiamo parlando non di prodotti di alta tecnologia, bensì banali come antibiotici risalenti a mezzo secolo fa, o le benzodiazepine, o i sonniferi, o antidolorifici. Farmaci che sono sempre stati di uso corrente e che oggi accusano una difficoltà di approvvigionamento”.
Per quali motivi e con quali conseguenze?
“Sono diverse le ragioni, ma tutte in qualche modo collegate. Tanto che alla fine il vero punto è uno solo, vale a dire che tutti questi farmaci sono diventati troppo poco interessanti per le aziende farmaceutiche. Hanno cioè prezzi troppo bassi. E non danno più profitto, perché – con i problemi dei costi della salute aumentati in un modo che tutti sanno con l’impennata dei premi di cassa malati – gli interventi che l’autorità deve compiere per ridurre questi costi si sono concentrati spesso sui farmaci (ogni tre anni per legge il loro prezzo deve essere rivalutato e allineato con quello vigente all’estero). Questo ha portato, sull’arco appunto di una ventina di anni, a far crollare a pochi franchi questi medicinali”.
E quindi?
“Noi dobbiamo ragionare non a quanto si paga in farmacia, bensì di quanto incassa il produttore. È questo l’aspetto determinante. Faccio un esempio reale: se per un farmaco contro la cistite come il Bactrim l’azienda produttrice prende 2 franchi a confezione e deve oltretutto coprire una grande quantità di altri costi di produzione, ecco che il prodotto non rende. E dunque vi rinuncia e sul mercato quel medicamento viene a mancare. Se lo Stato abbassa i prezzi, i produttori tenderanno a spostare la manodopera in altri Paesi a loro più vantaggiosi, fino all’India o alla Cina. La conseguenza è che noi perdiamo completamente il controllo sulla produzione dei farmaci. Sono questi i meccanismi che hanno portato a causarci problemi di approvvigionamento. Un fenomeno che conoscono tutti i Paesi europei, perché la spesa sanitaria è un carico in crescita dappertutto”.
Swissmedic, nel quale lei siede, cosa fa concretamente per attenuare il problema?
“Queste modifiche devono essere apportate dalla politica, perché riguardano leggi federali che spettano al Parlamento. Chiaramente, Swissmedic da un lato, Cantoni e Dipartimenti della sanità dall’altra e i Servizi della Confederazione che dispongono delle conoscenze e competenze tecniche sui dossier sono coloro che devono fornire ai politici le informazioni utili per prendere le decisioni. E questo lavoro, naturalmente, viene svolto”.
Con quali risultati?
“In tema di approvvigionamento dei farmaci è stato elaborato un ampio ventaglio di proposte e tanti cambiamenti si sono già realizzati: al livello delle leggi e di prassi come, proprio pochi giorni fa, per facilitare le importazioni di medicamenti dall’estero da parte dei farmacisti. Però bisogna sempre trovare un buon equilibrio fra una moltitudine di aspetti. La Svizzera negli ultimi anni ha perso numerose aziende di produzione e competenze e questo va assolutamente evitato. L’obiettivo è mantenere un numero minimo di aziende produttrici per rimanere autonomi”.
Veniamo al suo consuntivo, al bilancio della sua carriera. Come sta vivendo queste settimane prima della pensione?
“Con tranquillità. È un momento della vita che deve arrivare. Sono stato fortunato ad avere questo posto di lavoro, che si è rivelato sempre molto interessante, variato, con molti stimoli e molte fasi, non mi sono praticamente mai annoiato. Ho iniziato con l’allora farmacista cantonale, Pierfranco Livio, con il quale ho lavorato per 16 anni. Da studente universitario a Zurigo, dove ho studiato, ho lavorato anche un po’ in farmacia”.
Tutto è insomma iniziato da dietro al bancone?
“Sì, esatto, e poi sono tornato in Ticino. Ho lavorato con a capo diversi direttori del DSS, oggi Raffaele De Rosa, e prima Beltraminelli, Pesenti, Martinelli, Bervini, e sono sempre andato molto d’accordo con tutti e con tutti c’è stata una stima reciproca e per questo ci tengo a ringraziarli”.
E il resto della carriera, così lineare e coerente, è storia nota.