S’intitola Pensieri selvaggi la 18esima edizione di ChiassoLetteraria (a ingresso gratuito) al via oggi, venerdì, alle 18.30 allo Spazio Officina con l’atteso scrittore spagnolo Javier Cercas e il suo storico traduttore, Bruno Arpaia. E tra i numerosi ospiti, l’indomani, sabato alle 17.30, da Roma giungerà Laura Pugno, scrittrice che maggiormente incarna la tematica del festival, in dialogo con Massimo Gezzi.
Non poteva per lei esserci titolo più azzeccato!
“Sì, effettivamente ho dedicato molti libri al “selvaggio”: La ragazza selvaggia (2017), il romanzo in prosa con cui sono stata vincitrice della Selezione Campiello Letterati; e nel 2018 In territorio selvaggio, che è il mio primo saggio. Ma anche l’ultimo appena uscito centra il tema, Noi senza mondo, ibrido fra questi due formati: un romanzo-saggio, un saggio-romanzo con degli innesti narrativi. Il tema è sempre più una chiamata che riguarda tutti”.
Il fascino di Noi senza mondo risiede anche nella mescolanza dei generi.
“È un oggetto letterario ancora non del tutto identificato. In questo momento le barriere fra i generi letterari nell’editoria stanno cadendo: si sta tornando a forme semplicemente più libere, che si codificheranno in un momento successivo. Noi senza mondo ha avuto un percorso particolare perché nasce come saggio: mi ero proposta di rileggere L’ultimo dei Mohicani, pubblicato per la prima volta nel 1826, come una sorta di scatola nera dell’Antropocene… Questa avventura di lettura e di scrittura mi ha condotto però in territori molto lontani, a riflettere fra l’altro come noi stessi oggi in Occidente ci sentiamo in qualche modo nella condizione dei popoli che scompaiono…”.
Anche la disposizione delle parole sulle pagine è molto intrigante e contribuisce a conferire senso al testo.
“In qualche modo rappresentano delle “stazioni di posta” all’interno del libro e snodano due diversi fili attraverso l’uso del carattere tondo e corsivo, oltre che con collocazioni a metà pagina. Da una parte questa è una riflessione sul corpo e sulla scrittura e dall’altra racconta una sorta di metamorfosi. È un libro molto movimentato”.
Noi senza mondo rappresenta “un’avventura interiore” – come annuncia il risvolto di copertina. Un’avventura in cui la poesia è salvifica, come si legge in un passaggio splendido del libro: “L’unica cosa che ha senso portare sull’Arca, lo sai, è ciò che è inconsumabile. La poesia più che la prosa, il suo movimento a spirale che finisce, ti avvolge più stretto, ricomincia”.
“Sì, poesia in senso proprio, ma anche come quella parte della letteratura che cerca di spingersi sempre oltre, verso pensieri non ancora pensati e forse, quando cerchiamo di intuire come possano diventare pensabili, ci serve di inventare in qualche misura un nuovo linguaggio”.
Talora, come lei stessa ci indica, è sufficiente una tenue distinzione tra articolo determinativo e indeterminativo: “la fine del mondo”, rettificata in “la fine di un mondo”.
“Noi tutti nel nostro quotidiano sperimentiamo la sparizione di molti mondi, un passaggio della “linea d’ombra”. Il sintagma che dà il titolo al mio ultimo libro è un rovesciamento dell’interessante saggio di Alan Weisman, Il mondo senza di noi, che conteggia in quanto tempo il mondo tornerebbe ad uno stato di natura nel momento in cui l’essere umano dovesse misteriosamente scomparire. Noi senza mondo in qualche modo rovescia invece la prospettiva e riflette piuttosto sul fatto che un nuovo tipo di mondo richiede un nuovo tipo di soggetto, un nuovo tipo di popolo, si interroga su come vada ripensata la relazione tra noi e il mondo e su come qualsiasi scelta comporti un’impronta, sia che la misuriamo in termini di anidride carbonica sia di diversa prospettiva storica.
Il rischio che corriamo è ritrovarci senza un mondo, soli: e allo stesso tempo agiamo come se questo pianeta fosse qualcosa di cui non dovremmo prenderci cura”.