La stagione 2023/24 di Coppa del mondo di sci rischia di essere ricordata più per l’impressionante serie di infortuni toccati a grandi campioni che non per le imprese spettacolari di molti di loro. Schwarz, Kilde, Pinturault, Shiffrin, Gisin, Haelen, Suter, Vlhova, Holdener e ora anche Goggia (le ultime due in allenamento), sono rimasti vittime di cadute che li hanno allontanati dalle competizioni per tempi medio lunghi. Alcuni di loro infatti non potranno rientrare che nella prossima stagione.
Ma perché tanti incidenti? Lo abbiamo chiesto a Mauro Pini, allenatore ticinese di grandissima esperienza, che è stato al fianco di molti assi dello sci (Rienda Contreras, Gut-Behrami, Maze…) e che attualmente segue Petra Vlhova, lei pure infortunatasi seriamente qualche settimana fa.
È vero c’è stata una serie di brutti infortuni (tranne Maze, tutti i nomi citati sopra hanno avuto infortuni al ginocchio…), ce ne sono sempre stati, ma questa volta se n’è parlato molto perché hanno toccato diversi big. Tuttavia non c’è un filo conduttore tra un incidente e l’altro. Direi che diversi sono stati causati da problemi tecnici e tattici ma anche dalla difficoltà di parecchi sciatori ad interpretare il terreno di gara in relazione alle mutevoli condizioni della neve. Si è gareggiato su piste gelate, sulle quali poi ha piovuto, su neve dura e poi quasi primaverile… E qui diventa fondamentale la capacità di adattarsi alle condizioni della pista e, di conseguenza, la preparazione avuta dall’atleta negli anni di avvicinamento alle competizioni. Non basta il duro lavoro in palestra per aumentare la massa muscolare o la resistenza, ritengo altrettanto necessario il lavoro nella natura, fuori pista, su diversi tipi di neve, fresca o compatta, primaverile o dura…
La capacità di reagire, in gara, a condizioni particolari del terreno fanno sicuramente la differenza, più che non lo studio dei tracciati al computer cercando di imitare le linee dei campioni…. Su questo aspetto avrebbero parecchio da insegnare i fuoriclasse nella top ten da un decennio che, contrariamente alle giovani generazioni, non erano così esasperatamente impostati sulla performance. Oggi c’è la tendenza ad allenarsi solo in piste preparate perfettamente, ad affidarsi al materiale, ma non si prepara sufficientemente la prontezza di reazione all’imprevisto.
Come giudica il calendario degli appuntamenti che non consente o quasi di recuperare le gare non disputate per maltempo?
Questo è un altro tema delicato. I mutamenti climatici, la mancanza di neve a inizio stagione nelle classiche località montane costringono spesso a rinviare gare a tempo indefinito. Così gli atleti si trovano poi a dover affrontare delle competizioni infrasettimanali magari con meno percorsi di prova e un minor numero di allenamenti. Credo che tutto il calendario degli appuntamenti dovrebbe essere rivisto, spostando l’esordio più a nord, dove la neve di solito cade prima che sulle Alpi, e seguendo poi una logica legata alla meteo pur tenendo conto delle richieste di alcune località che hanno legato il loro nome anche alle classiche dello sci.
Il calendario maschile proponeva l’esordio a Zermatt/Cervinia (gare tutte annullate), poi gli slalom in Austria, quindi il trasferimento in America, il rientro in Europa, poi, per gli uomini, ci sarà ancora l’America e infine l’Europa in Slovenia e in Austria… Non le sembra un calendario un po’ schizofrenico?
Sì, concordo e il discorso si riallaccia a quanto detto prima, bisognerebbe rivedere il piano gare, ma ci sono in gioco anche interessi legati a sponsor, infrastrutture, turismo che non si vogliono ignorare.
Tuttavia la fuoriuscita di tanti campioni per infortunio può provocare un calo di interesse per le gare, che potrebbe anche tenere lontano buona parte del pubblico, non crede?
Certamente, le sfide tra campioni e campionesse di diverse nazionalità hanno sempre alimentato l’attenzione del pubblico, che vuole spettacolo, vuole stare col fiato sospeso fino all’ultimo, vuole festeggiare coi beniamini di casa. L’agonismo e i dualismi sono il sale della competizione, se viene a mancare cala l’interesse. Per non dire degli atleti stessi, che si caricano sapendo che hanno avversari in grado di batterli e che dunque devono sempre esprimersi ai loro massimi livelli.
Ha lavorato e lavora con sciatrici che hanno raggiunto traguardi altissimi, ma tutte prima o poi hanno attraversato momenti bui, nel corso dei quali forse si sono chieste se valesse la pena continuare. Lei è riuscito a farle riemergere: è una questione legata al mentale?
Il lavoro sul mentale è importantissimo, tanto quello sulla tecnica e include diversi aspetti a cominciare dall’organizzazione e dalla capacità di far fronte agli imprevisti… Lo si è visto quando le interruzioni delle gare hanno costretto le atlete a un’attesa prolungata in partenza. Alla ripresa, negli occhi di molte sciatrici si leggeva la paura e l’ansia e infatti poi, a loro volta, sono cadute!
Un’ultima domanda: come sta Petra Vlhova, quando la rivedremo sugli sci?
Sta bene, il suo processo di guarigione è iniziato secondo i piani e dunque potrebbe essere pronta presumo a partire dal prossimo mese di novembre.