Opere nel cerchio familiare

0
521
A Casa Pessina a Ligornetto sabato 18 novembre vernissage della mostra e videoinstallazione dell’artista che indaga fra l’altro i rapporti di potere insiti in ogni nucleo familiare. Fino al 21 gennaio.

Se chiudo gli occhi vedo la montagna. Con questo suggestivo titolo s’inaugura domani, sabato 18 novembre alle 18 a Casa Pessina a Ligornetto, la singolare mostra di Aline d’Auria. L’esposizione potrà essere visitata dal 19 novembre al 17 dicembre e dal 7 al 21 gennaio, mentre il 14 gennaio è già in calendario un evento collaterale: un incontro con l’artista, la storica Silva Semadeni, autrice del volume Le cinque Ave. Storie di donne poschiavine dell’Ottocento, e l’esperta di cultura visiva Elisa Medde.
Quella proposta da Aline d’Auria – evidenziano i promotori della mostra – è un’opera composita che presenta e pone in dialogo immagini di diversa natura: fotografie d’epoca, esposte in tre teche insieme a documenti e ricordi, la rielaborazione di alcune di esse da parte dell’artista e le immagini in movimento di una proiezione video a tre canali. Attraverso l’indagine dei materiali contenuti nell’archivio della sua famiglia materna l’artista e designer di Chiasso, classe 1982, ha incontrato molteplici storie di vita, interrogativi irrisolti, tracce di eventi banali e di drammi profondi che l’hanno portata a sviluppare una riflessione sui rapporti di potere insiti in ogni nucleo familiare.

Una lettura universale
L’intento del suo lavoro non consiste tuttavia nell’operare una ricostruzione storica di eventi passati, bensì in quello di aprire queste vicende a una lettura universale e di offrire loro la possibilità di una conclusione alternativa. La forza dell’opera di Aline d’Auria – evidenziano gli organizzatori – risiede nella capacità di far emergere la carica emotiva e il potenziale narrativo di immagini che giacevano dormienti e dimenticate. L’artista sceglie così di presentarci i ritratti di una coppia, i suoi bisnonni, marito e moglie fotografati singolarmente, separati e prigionieri nelle loro cornici d’epoca, in una sequenza che sottolinea la difficoltà dei loro sguardi ad incontrarsi, l’impossibilità di condividere appieno con l’altro emozioni, paure, desideri e aspirazioni. Allo stesso modo sovrappone la fotografia di sua madre ancora bambina, assorta nella danza, con il blow-up di un scatto realizzato da sua madre ormai adulta che ritrae una vetta rocciosa sulla quale si distinguono a fatica alcune persone intente nell’ascesa, sublimando così attraverso il suo sguardo l’ardua impresa di conciliare i sogni e le speranze dell’infanzia con le inevitabili disillusioni della vita adulta.
Nella videoinstallazione proiettata sulla parete centrale sono protagoniste tre donne, una ragazza, un’adulta e un’anziana che con i loro gesti si cercano, si confortano e si sostengono dando vita a una danza liberatoria, un abbraccio che incarna la condivisione di un’esperienza comune, la possibilità di emanciparsi da ruoli prestabiliti ed essere, anche solo per il tempo del calar del sole, pienamente se stesse. Nel corso della proiezione appaiono alcune domande tratte da un elenco stilato nel diario (l’originale è presente in mostra in una delle teche) della bisnonna dell’artista, allora diciassettenne, che si interroga sulla sua capacità ad accettare i compromessi e le rinunce che comporta la vita coniugale.
Scritti verso fine Ottocento, questi versi sono legati a un’immagine ben precisa della donna all’interno di una coppia: quella di una moglie accondiscendente, sottomessa, dedita alla cura dei figli e del focolare domestico. Al tempo stesso le parole di questa ragazza lasciano trasparire un sentimento di disagio nei confronti di questi dettami sociali, di queste demarcazioni nette dei ruoli fra donne e uomini che ancora oggi non sembrano aver trovato una simmetria imparziale. La colonna sonora che accompagna il video è elaborata dal compositore e performer statunitense Colin Self.
I visitatori saranno… trasportati in Engadina: l’immagine che apre e chiude il percorso espositivo è quella del massiccio del Piz da la Margna che sovrasta il villaggio di Sils, teatro di alcune delle vicende che hanno ispirato l’artista. Il profilo di questa montagna ricorre in numerose fotografie di varie epoche esposte nelle teche e in alcuni fotogrammi del video, dove sembra fondersi con i profili dei corpi in movimento. Come sovente accade nel lavoro di Aline d’Auria i luoghi non fanno semplicemente da sfondo alla narrazione di una storia ma divengono essi stessi parte integrante del racconto, specchi e amplificatori di complesse realtà interiori. Vedere… per scoprire.