Nelle sue parole il lascito del grande artista appare una materia incommensurabile e come tale foriera di nuove, ulteriori scoperte. Gianna Mina si dice pronta a cedere il testimone, dopo 30 anni alla direzione del Museo Vincenzo Vela a Ligornetto, ma la passione, quella, sembra correre ancora per interminabili binari… Sono mesi ricchi, incessanti, quelli che condurranno, a fine agosto, la storica dell’arte alla pensione e al passaggio di testimone a chi erediterà il suo incarico (la nomina del successore spetta all’Ufficio federale della cultura, che lo scorso febbraio ha indetto il concorso pubblico). Con quali emozioni sta vivendo questo momento?
“Le emozioni sono molteplici. Prevale un senso di riconoscenza per aver potuto dare un’identità più netta a questo luogo d’arte unico nel suo genere. È stato un impegno davvero grande, direi quasi totalizzante. Questa casa-museo è stata il primo museo in Ticino. Rappresenta il frutto di una visione lungimirante da parte di uno scultore e artista ticinese ma di caratura europea. Eppure l’edificio e le collezioni all’inizio degli anni Novanta sembravano dormienti. A quell’epoca infatti la scultura dell’Ottocento rappresentava quanto di più lontano potesse esserci dagli interessi della popolazione, dell’ente pubblico e anche, a dire il vero, degli studiosi. Inoltre la collezione di gessi è fortemente ancorata a un preciso momento storico, quello del Risorgimento italiano. Vela, come sappiamo, ha lavorato 25 anni nel Canton Ticino, ma si è affermato al di fuori dei confini nazionali, coniugando nel genere monumentale l’aspetto pubblico a quello privato. Indubbiamente il Ticino – terra di accoglienza di molti esuli – era legato a questo specifico contesto, il resto della Svizzera molto meno”.
Qual è stato il suo apporto?
“Quel che ho cercato di fare, mi auguro in maniera soprattutto utile, è stato individuare anzitutto le necessità di questo luogo ibrido, che non era più la casa di un artista, perché dopo la morte di Spartaco Vela, avvenuta nel 1895, erano stati compiuti diversi interventi, ma nemmeno un museo moderno. Vi erano già state allestite alcune mostre temporanee ma in condizioni non ottimali. Mi era dunque parso importante creare – e questo lo abbiamo fatto al primo piano, grazie alla ristrutturazione firmata dall’architetto Mario Botta – uno spazio perfettamente atto ad accogliere mostre temporanee”.
L’intervento di Botta ha così reso possibile una vita parallela a quella della collezione permanente dedicata a Vela?
“Certo, si è trattato infatti di rispondere a un’esigenza concreta, quella di rendere l’istituzione più attrattiva, anche per il pubblico locale. Era pertanto imprescindibile creare delle condizioni ottimali per ospitare esposizioni temporanee. In secondo luogo ho privilegiato una rivalutazione storico-artistica e scientifica dello scultore Vincenzo Vela, ponendo l’accento sull’allestimento originale che prevedeva che nell’ottagono centrale fosse concentrata gran parte della sua produzione. Ciò non è stato completamente possibile, ma comunque è stata ricreata quella sorta di “show-room” ante litteram, utile allo scultore ma anche volutamente scenografico per avvicinare il pubblico alla sua arte. Villa Vela è un unicum tra le case-museo dell’Ottocento. Vela, ancora abbastanza giovane, intorno ai 45 anni, creò un affascinante intreccio tra spazio di promozione della sua arte, spazio di dibattito pubblico e politico e luogo aperto al pubblico. Infatti già nel 1868 lo scultore rese accessibile alla cittadinanza il salone espositivo della sua villa e nel 1881 pubblicò il primo catalogo delle sue opere. Un anno dopo la sua morte il figlio Spartaco, interpretando le sue ultime volontà, lasciò alla Confederazione Svizzera la villa e collezioni in essa contenute. Nel 1898 ebbe così luogo l’inaugurazione del primo museo in Ticino”.
Dopo l’intervento di Botta, il Museo è così divenuto funzionale ai nuovi orizzonti culturali?
“Accanto alla mostra permanente delle opere di Vela, si sono consolidate e ampliate le mostre temporanee. Sul fronte scientifico nel 1979 lo scultore è stato al centro di un importante e primo dottorato di ricerca da parte della studiosa americana Nancy Scott. Sono seguiti, soprattutto negli ultimi tre decenni – e di ciò sono molto contenta – molti approfondimenti e ricerche sull’artista. Si erano infatti create le condizioni perché Vela venisse studiato grazie a campagne di restauro e di catalogazione scientifica. Ne è scaturito un secondo fondamentale dottorato in ambito italiano che porta la firma di Giorgio Zanchetti, autore anche dell’edizione critica del “Carteggio” di Vela, recentemente pubblicato, oltre a innumerevoli altri studi”.
Lo studio di Vela non si è dunque ancora esaurito?
“In questi ultimi anni, e soprattutto dalla pandemia ad oggi, l’attenzione nei confronti di questo artista è ancora aumentata: riceviamo regolarmente richieste e indicazioni da parte di studiosi, di collezionisti ma anche, e questo fatto è particolarmente rilevante, dal vasto pubblico, che ci manda indizi utili, sulle cui tracce ci mettiamo a lavorare. Siamo a tutti gli effetti diventati un centro di studi sulla famiglia Vela, composta non solo da Vincenzo, ma anche dal fratello Lorenzo e dal figlio Spartaco. La nostra biblioteca di studio, costituita negli anni, attesta che la materia è molto feconda”.
Come cercate di divulgare ulteriormente la conoscenza del grande scultore?
“Per ottenere ciò è necessario creare una disponibilità e un ambiente accogliente, basato su scambi aperti, solidi e collegiali. Abbiamo lavorato molto anche sul potenziamento delle attività collaterali finalizzate alla vivacizzazione di un luogo che la geografia penalizza, perché per raggiungerlo occorre volerlo, non ci si capita per caso. È necessario, ma è questo il bello, creare occasioni diverse, anche attraverso le attività di mediazione culturale, nelle quali il Museo è stato pionieristico. La nostra peculiarità è quella di mescolare pubblici diversi, oltre che di aprirci a tutti. Nel corso del tempo, anche le attività collaterali si sono sviluppate tanto – sempre in dialogo con le mostre temporanee in corso –, soprattutto nell’ambito della musica da camera, ma anche del cinema, della danza e della letteratura, privilegiando i rapporti con enti e istituzioni attive nel nostro contesto di riferimento”.
E in tema di mostre temporanee, qual è il criterio di scelta?
“Due filoni in particolare mi sono sembrati pertinenti per questo museo: rimanere fedeli al linguaggio della scultura – il che è molto arduo per tutta una serie di motivi – cercando di privilegiare artisti intorno alla generazione di Vela che fossero stati anche loro attivi in contesti pubblici-politici particolari, ma anche ospitando il lavoro di scultori e scultrici ticinesi contemporanei, fra cui cito, tra gli altri, Pierino Selmoni, Veronica Branca-Masa, Petra Weiss, Marcel Dupertuis, Fiorenza Bassetti. Senza dimenticare le mostre tematiche, dedicate ad argomenti pressanti quali il rapporto tra corpo e potere, tra natura e la sua rappresentazione,…
Quali saranno i suoi ultimi allestimenti?
“Il 4 giugno inaugureremo una mostra dedicata allo scultore Natale Albisetti (1863-1923), poco noto e meno fortunato di Vincenzo Vela, ma valido rappresentante di una generazione di artisti ticinesi ai quali è doveroso prestare attenzione con studi e mostre. La collaborazione del Museo con il Comune di Stabio, che possiede una raccolta di suoi modelli in gesso, conferma inoltre la disponibilità a collaborare con realtà diverse per favorire la conoscenza. L’inaugurazione si inserirà all’interno di una maratona musicale, un progetto inedito realizzato con il musicista e produttore Claude Hauri, che durerà ben due giorni con concerti cameristici. Ma la chiusura del mio mandato coinciderà con un convegno internazionale di studi, previsto il 25 e 26 agosto, che intende focalizzarsi su nuove tematiche emerse negli ultimi anni e dare voce a ricercatori storici e alle giovani leve attive nel campo, con i quali abbiamo intessuto rapporti di studio e umani davvero straordinari”.
Qual è stata infine la sua più grande soddisfazione?
“Essere riuscita a ridare vita e senso a un luogo unico nel suo genere e a costituire un substrato culturale e scientifico solido, affinché le giovani generazioni possano avvicinarsi a Vela e approfondirne la conoscenza”.