Dagli scarti di cave, opere edili

0
421
La stampante tridimensionale.

È ancora un prototipo, ma una volta implementato – diciamo fra un paio di anni – potrebbe rivoluzionare un mondo. Quello degli scarti di cava, di difficile e costoso smaltimento. Basti pensare che se venisse creato un sistema in grado di riutilizzare questo materiale si potrebbero risparmiare milioni di franchi.
Detto, fatto. Ricercatori del Politecnico federale di Zurigo (ETH) e dell’Istituto scienze della Terra della Supsi (Dipartimento ambientale costruzioni e design) in una vera e propria sinergia multidisciplinare hanno elaborato il progetto denominato Innosuisse REBJP – Binder Jetting for direct application of materials. Più “semplicemente” l’invenzione risiede in una stampante 3D a geopolimero capace di intercettare il flusso di scarti di cava locali e reintrodurlo nella catena di produzione con evidenti vantaggi: da un canto favorendo un’economia di tipo circolare con il riutilizzo dei materiali, dall’altro dando prova di sostenibilità ambientale perché la tecnologia adottata si distingue per basse emissioni di C02.

Presto alla Biennale di Venezia
La novità, che avrà il pregio di essere ospitata alla prossima Biennale Architettura di Venezia dal 20 maggio al 26 novembre, a Palazzo Moro, è stata illustrata alla stampa martedì nel suggestivo anfiteatro naturale delle Cave di Arzo alla presenza degli artefici della scoperta tecnologica e scientifica: Filippo Schenker, ricercatore dell’Istituto scienze della Terra della Supsi; Pietro Odaglia e Vera Voney ricercatori dell’ETH. Con loro anche
Benjamin Dillenburger dello stesso Politecnico di Zurigo e Victor Blazquez del Centro competenze management e imprenditorialità della Supsi.

A prova di sostenibilità
A mostrare ai media le principali peculiarità della scoperta è stato Filippo Schenker: “Tutto è nato per caso. Vera e Pietro stavano sviluppando la stampante a basso impatto ambientale; noi di Supsi stavamo invece lavorando a un progetto sugli scarti di cava. Di qui è sorta la sinergia di un progetto interdisciplinare che per sviluppare questo tipo di tecnologie ha richiesto la forza di più competenze: creare un’economia locale e risolvere il problema degli scarti”. Ma qual è, in breve, il risultato raggiunto dall’innovativa tecnologia messa in campo dai ricercatori? Partendo dagli scarti della cava, la stampante produce elementi architettonici ornamentali che possono essere utilizzati come materiale utile alla costruzione. Quello mostrato ad Arzo è uno dei possibili esiti prodotti dalla stampante 3D: un solaio funicolare che può essere impiegato nell’edificazione di un controsoffitto o di un pavimento e la sua peculiarità consiste nel materiale, assolutamente privo di cemento o di acciaio eppure in grado di mostrarsi resistente alla compressione (fino a 30 mega Pascal) e dunque facilmente spendibile in ambito architettonico. Non solo.

Il segreto sta nel legante
Il materiale, prodotto dalla stampante con l’utilizzo di metacaolino, minerale che va ad aggiungersi agli scarti di cava e quale legante costituisce una delle innovazioni più importanti, è decisamente “green”, a prova di sostenibilità ambientale e oltretutto, grazie alla creazione di cavità, il quantitativo di materiale utilizzato si riduce fino al 70%. Senza contare che il materiale impiegato s’inserisce nell’ambito dell’economia circolare, in altri termini è a prova di riciclo.
La tempistica della “stampata” non è ancora ottimale: si parla di un processo che dura due volte 12 ore (una prima parte per la stampa e la seconda per l’essicatura del materiale).
Per ora si parla ancora “soltanto” di un prototipo di stampante, ma non è poca cosa! “È un progetto pilota – hanno evidenziato i ricercatori – ma se dovesse essere messo a regime e si creassero dieci stampanti, ecco che i risultati sarebbero interessanti. Ci vorrebbe un’implementazione, poi si tratterebbe di superare gli aspetti normativi. Occorrerebbero un paio di anni, ma è relativamente fattibile”. Hanno assicurato gli artefici della innovazione tecnologica: “Ora siamo alla ricerca di partner commerciali disposti ad aiutarci per i prossimi passi, per entrare nel mondo dell’edilizia”. Gli elementi architettonici che la stampante è in grado di produrre potranno potenzialmente essere usati in diversi campi dell’edilizia, in particolare elementi attinenti alle facciate.

Milioni di franchi risparmiati
L’innovazione tecnologica raggiunta dai ricercatori segna anche un orizzonte di risparmio economico. Il messaggio è che delle cave non si vuole buttare via niente. Le statistiche indicano come in Svizzera ogni anno vengano smaltiti enormi quantitativi di rifiuti edili destinati alle discariche: si stima che il materiale di scavo e di sgombero raggiunga valori di 57 milioni di tonnellate. Il 25% di questi rifiuti viene smaltito a un costo di circa 25 franchi a tonnellata. Pertanto, se venisse creato un sistema in grado di riutilizzare questo materiale – e la stampante tridimensionale messa a punto dai ricercatori di Supsi e Politecnico di Zurigo ne costituisce in tal senso una promettente soluzione – ecco che si potrebbero risparmiare fino a 356 milioni di franchi all’anno.
Insomma, la sfida di smaltire grandi volumi di scarti delle cave (in Ticino possono raggiungere 20-40% della produzione totale), ora è lanciata.