A quasi settant’anni dalla scomparsa, il nome di Renato Ballerini è noto principalmente agli addetti ai lavori. La figura di questo artista, ravennate di nascita e luganese di adozione, è praticamente scomparsa, nonostante egli abbia partecipato attivamente alla vita politica e culturale ticinese della prima metà del Novecento. Diremo di più: Ballerini è stato per Lugano un’autentica personalità. Pittore della borghesia locale, scultore di poche ma interessanti opere, giornalista per la carta stampata, illustratore di vignette satiriche e grande polemista in un’epoca in cui le battaglie si facevano sulle pagine dei giornali, ha combattuto fino all’ultimo la lotta del quotidiano, in un momento storico in cui vivere con l’arte rappresentava una sfida impossibile.
L’idea di un’esposizione dedicata a Renato Ballerini presso la Pinacoteca cantonale Giovanni Züst nasce dall’incontro con Frederik Poort, pronipote e depositario del fondo del pittore. La rassegna però non vuole essere unicamente una mostra dedicata ai lavori conservati in famiglia, ma desidera restituire un’immagine completa di Ballerini, grazie alla ricerca di altre testimonianze presenti sul territorio. È così l’occasione di ripercorrere le tappe salienti del suo percorso attraverso una selezione di dipinti provenienti anche da musei e collezioni private. Si spazia dai lavori giovanili di gusto liberty ai primi ritratti, autoritratti e paesaggi eseguiti nel Ticino, sino alla stagione più felice dell’artista, quella del Realismo magico, con opere che documentano l’interesse di Ballerini per quello che accadeva nella vicina Milano. Sono esposti anche una selezione di manifesti, disegni e documenti inediti conservati nell’archivio privato degli eredi.
Nato a Ravenna nel 1877, Renato Ballerini studia all’Accademia di belle arti della sua città e completa la formazione all’Accademia libera del nudo a Roma. Nel 1898 sposa Adele Minguzzi, che gli darà 5 figli, spesso modelli per i suoi ritratti. Nel primo decennio del Novecento è a Milano e lavora come disegnatore tecnico per l’architetto Augusto Guidini, che nel 1910 gli chiede di trasferirsi a Lugano. Fra i suoi primi interventi nel Ticino vi è probabilmente la collaborazione con il pittore Gioachimo Galbusera per la realizzazione del ciclo di dipinti della vecchia birreria Gambrinus in centro a Lugano, gestita dalla famiglia Hunziker. Parallelamente Ballerini inizia a collaborare con il quotidiano “Libera Stampa” in qualità di giornalista e illustratore, ma nel decennio successivo se ne distanzia. Sono questi gli anni in cui si afferma come ritrattista della borghesia luganese: fra le tante opere eseguite si annoverano i sette ritratti dei benefattori dell’Ospedale di Lugano, datati dal 1920 al 1927 e oggi conservati nelle Collezioni della città. Molto intensa anche la sua attività espositiva, con mostre alla Società ticinese di Belle Arti, al Cenacolo italiano (di cui Ballerini è tra i membri fondatori) e alla Fiera svizzera di Lugano. Riceve inoltre riconoscimenti a Ravenna, Milano e Lugano. Come illustratore Ballerini collabora con importanti personalità del mondo della cultura ticinese, come Giovanni Anastasi, insegnante, scrittore e direttore di testate come il “Corriere del Ticino”, Antonio Galli, docente, consigliere di Stato, direttore di “Gazzetta Ticinese”, o il pretore socialista Giacomo Alberti, redattore de “Il Ragno” e autore, con lo pseudonimo di Menelao Lemani, della divertentissima La conferenza sudante, in cui il testo ironico su Dante Alighieri si avvale del sostegno di disegni di Ballerini. Alberti era fratello di don Francesco, autore di Il voltamarsina, e della famosa maestra pedagogista Maria Boschetti Alberti. Le illustrazioni dell’artista compaiono sia su periodici come “Libera Stampa” o come il giornale satirico “Il Ragno”, sia a corredo di pubblicazioni a sfondo educativo e pedagogico, di gran moda all’epoca, sia per inserzioni pubblicitarie.
Coloro che visiteranno la mostra su Renato Ballerini potranno osservare che la collezione permanente è stata completamente riallestita, con sezioni dedicate ad alcuni prestigiosi depositi da parte di privati (opere di Pier Francesco Mola, Giuseppe Antonio Petrini, Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Giovanni Fattori, Gaetano Previati ecc.). In seguito alla donazione di Giovanni Züst dei suoi dipinti allo Stato del Cantone Ticino (1966), che ha portato all’apertura della Pinacoteca l’anno successivo, le collezioni hanno continuato ad accrescersi grazie a donazioni, acquisti e depositi che in qualche caso sono andati a rendere più significativa la presenza di alcuni artisti, altre volte hanno cercato di colmare le inevitabili lacune. Negli ultimi anni in particolare si è iniziato un lavoro di studio sulle collezioni che ha permesso di contestualizzare meglio quella di Rancate, facendone inoltre emergere la singolarità all’interno del panorama ticinese. Nel 2009 in particolare è stata presentata al pubblico la raccolta di Riccardo Molo (1883-1934), un uomo d’affari ticinese coetaneo di Giovanni Züst, stabilitosi negli anni venti a Balerna. Se è legittimo supporre che i due imprenditori si fossero conosciuti, anche se non sussistono prove, certo è che ora le loro collezioni hanno l’opportunità di dialogare a Rancate, completandosi a vicenda. Nella «Sala doppia altezza» al piano terra si è voluto sottolineare questo ideale gioco di rimandi inserendo, tra le opere della collezione Molo, due pezzi della collezione Züst: Antonio Rinaldi viene così a dialogare con Giovanni Carnovali, grazie al confronto tra due Madonne dalle morbide fattezze, mentre il Laghetto alpino di Gioachimo Galbusera strizza l’occhio al Lago di Lecco di un giovane Giovanni Segantini.
Al primo piano trova posto una sala dedicata al progetto didattico «Destinazione museo»: esso impegna le classi nel corso dell’intero anno scolastico, con più incontri che si svolgono in aula e in museo. Un’altra sezione è dedicata a Giuseppe Antonio Petrini, uno dei protagonisti del Settecento lombardo. La Züst è il museo pubblico che conserva più opere del caronese, pezzi che Giuseppe Martinola considerava “di gran classe”. Ad essi si affiancano dipinti per utili confronti: una Madonna immacolata di Giovanni Battista Ronchelli, donata nel 2002 da Gino e Gianna Macconi, e due depositi qui presentati per la prima volta. Un Petrini molto interessante, che raffigura I Santi Paolo Eremita e Antonio Abate e un Ritratto di frate di Giacomo Ceruti, un’opera di altissima qualità molto apprezzata da Giovanni Testori che amava riconoscervi le fattezze del manzoniano Fra Cristoforo.
Il vertice delle collezioni di Giovanni Züst è il quartetto di opere del caravaggesco asconese Giovanni Serodine, che permette di delineare Rancate come un vero e proprio polo serodiniano, conservando ben quattro dipinti dell’asconese, al quale ne sono attribuiti con certezza meno di venti in tutto il mondo. Ad essi viene accostata una Scena di sacrificio di Pier Francesco Mola, acquistata dal Comune di Coldrerio, paese di origine del pittore, nel 2012, in occasione dei 400 anni dalla sua nascita. Un artista, Mola, che ha condiviso con Serodine il destino di emigrazione vissuto da molti artisti originari delle terre ticinesi: entrambi infatti si spostarono a Roma dove erano attivi i grandi cantieri voluti dai papi.
L’ultima sala è dedicata al XVI secolo, che fino a pochi anni fa non era documentato nelle collezioni della Pinacoteca Züst. Nel 2017 infatti lo Stato ha acquistato e destinato al museo un dipinto di Francesco De Tatti, il pittore più significativo del Rinascimento nell’area di Varese, parte del polittico già sull’altare maggiore della chiesa di Santo Stefano a Rancate. In questo modo un pezzo significativo di storia ha ritrovato la sua collocazione.
Accanto ad esso, un’intrigante tavola datata intorno al 1510 e raffigurante un’Adorazione dei Magi di autore per ora ignoto. Sono attualmente in corso degli studi per identificarlo.