“Anche nel Mendrisiotto la situazione non è grigia, è nera” ci dice Flavio Quadranti, presidente di GastroMendrisiotto, a poche ore dalla proposta avanzata dalle autorità federali di prolungare fino alla fine di febbraio la chiusura della ristorazione a causa della pandemia.
“Chi di noi può tenere in attivo la propria attività con il locale aperto solo 7/8 mesi all’anno?” riflette a voce alta Flavio Quadranti facendo riferimento ai 2 mesi e mezzo di chiusura attuali ed ai due mesi di chiusura della prima ondata di marzo… “senza contare la diminuzione generale di clientela in tutto questo periodo a causa dei timori che la gente nutre. Abbiamo dei costi fissi che vanno dall’affitto alle tasse, dalle imposte agli stipendi ai dipendenti, ecc. e senza certezze è molto difficile farvi fronte”.
Nel Mendrisiotto vi sono già locali che hanno gettato la spugna? “Che io sappia no, ma bisognerà attendere la primavera per contare quelli che non riapriranno”. Se non si contano per ora delle chiusure, nel settore vi sono tuttavia stati dei licenziamenti e sale l’ansia. “È giusto rispettare la malattia e far di tutto per arginarla e noi ristoratori infatti abbiamo rispettato tutte le regole adottate. Ma perché la chiusura è imposta solo a noi? Negozi e altre attività sono aperte…”. Allineandosi alle richieste di GastroSuisse e GastroTicino, anche Quadranti parla della necessità di ricevere aiuti a fondo perso nel caso in cui si prorogasse la chiusura fino alla fine di febbraio. Vi state muovendo con iniziative regionali? “Per ora seguiamo costantemente l’evolversi della situazione sia dal profilo politico che da quello sanitario e delle prese di posizione della nostra federazione”. Proprio nelle ultime ore Massimo Suter alla testa di GastroTicino titolava un comunicato stampa “La paura si trasforma in tragedia”.
Nel Mendrisiotto quanto funziona la formula dell’asporto in questo momento? “Credo che più che altro lo si faccia per fidelizzare i clienti e magari anche per non restare a casa a pensare a quello che sta succedendo. Tuttavia dalle nostre parti non esiste una gran cultura dell’asporto”.