
Dalla casa degli anziani telefonano, più d’una volta, ai famigliari della persona che ha dovuto essere trasferita nella struttura ospedaliera “covid” per aver preso il virus; chiedono come sta, partecipano a tutta la loro preoccupazione, al loro dispiacere; non si sanno spiegare come sia entrato il virus “dopo aver preso tutte quelle precauzioni…”.
Il personale curante, ma pure quello alberghiero e amministrativo – ci dicono nelle case degli anziani della regione – affronta giorno per giorno la nuova edizione della pandemia portandosi dietro “la stanchezza psicofisica accumulata in primavera; ma, nei mesi scorsi, superato il picco, sapevamo che la strada sarebbe stata in discesa, verso il bel tempo; ora “non sappiamo cosa accadrà nei prossimi mesi; ci attende un lungo inverno, in salita”. Angoscia? No, ma “sconforto” e “impotenza” per non aver potuto impedire l’ingresso del virus che ha già contagiato decine di residenti. Molti dei quali asintomatici, per giunta.
Le ore di lavoro non si contano; il personale, quando sta sui reparti, mostra tranquillità, infonde coraggio ai residenti. Ma nella pausa-caffè i volti diventano scuri; si pensa alla possibilità di prenderlo, il virus; e anche all’ incertezza legata alla quarantena, per esempio, al dover ricostruire la catena dei contatti, pur sapendo che all’origine la persona positiva era asintomatica; ma anche dovuta al non sapere affatto da quale parte potrebbe arrivare il virus dentro le case degli anziani.
Il pensiero corre alla paura di sbagliare e di essere messi in croce da famiglie deluse, o da politici pronti a puntare il dito, come hanno tentato di fare in primavera, sollecitando il medico cantonale a far aprire un’inchiesta penale sulla base degli annunci funebri che riportavano 3 decessi in una casa per anziani della nostra regione; salvo poi essere smentiti dal Municipio proprietario della struttura: nessun ospire era risultato positivo.
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