
Nei lunghi mesi in cui il confronto culturale ticinese, già fioco di suo, è soffocato dalla pandemia che ci pervade, ecco un saggio di storia che evoca il lungo e tribolato percorso della libertà di pensiero nel rispetto delle idee di ognuno. Parla di Emilio Bossi (1870-1920) che di quella battaglia permeò l’intera sua vita di politico, magistrato, giornalista. E proprio a un giornalista di lungo corso, Edy Bernasconi, è stato affidato il mandato di ricostruire in modo critico le vicende di Milesbo – così si firmava Bossi – nato a Bruzella nella notte tra il 31 dicembre 1870 e il primo gennaio 1871, “a mezzanotte appena spirata, mentre la campana grossa del piccolo villaggio squillava annunciando il nuovo anno”, ebbe modo di ricordare un suo conterraneo.
Chissà se il suono delle medesime campane echeggiò il giorno in cui, nel 1931 fu inaugurata, all’ingresso del paese – appena una decina d’anni dopo la sua scomparsa! – la statua in cui lo immortalò lo scultore Apollonio Pessina. Domanda forse sciocca; ma, volendo semplificare, la “squilla” che da secoli in cima ai campanili segna lo scorrere del tempo in ogni nostro paese, nell’epoca di Milesbo – a cavallo tra Ottocento e Novecento – era il simbolo dell’istituzione che governava il comune pensiero. Al quale dovevano confrontarsi, e spesso inchinarsi, anche i molti, come Emilio Bossi, che alla religione non credevano assolutamente. Ma se la maggior parte di chi non frequentava la chiesa doveva accontentarsi di mormorare, Bossi andò a fondo di queste convinzioni, scrivendo quel “Gesù Cristo non è mai esistito” che interrogò non poco chi teneva ben salde nelle mani le redini del potere e il controllo sulle coscienze dei cittadini.
“Quella era una stagione di grandi speranze per l’umanità, legate all’estendersi delle conoscenze scientifiche e all’impetuoso sviluppo tecnologico dovuto alla rivoluzione industriale; il pensiero filosofico non poteva non essere influenzato da tali sconvolgimenti in una corrente, quella del positivismo, nella quale Milesbo sembra attingere a piene mani”, scrive Edy Bernasconi.
L’autore del saggio, intitolato “Libertà e laicità”, ha avuto l’attenzione di collocare il pensiero di Bossi nel contesto storico, culturale e politico dell’epoca, dando risalto anche a altre figure a lui vicine nel pensiero, Giovan Battista Quadri, Vincenzo Dalberti, Stefano Franscini, Carlo Battaglini, Guglielmo Canevascini… “Ho cercato di rimanere lontano dalla lettura celebrativa. Il suo concetto di laicità non parte da posizioni anticlericali o di ateismo sui generis ma dalla necessità di separare stato e chiesa; Bossi pose riflessioni significative anche sui concetti di patria e neutralità, battendosi per il rinnovamento del pensiero liberale, per indirizzarlo anche verso la dimensione sociale”, spiega Edy Bernasconi. Il giornalista si è a lungo occupato di queste tematiche durante il suo impegno professionale, accanto alla cronaca, scrivendo per il Giornale del Popolo, Il Dovere, La Regione, quotidiano che l’ha pure avuto per un decennio quale corrispondente da Berna.
L’autore ha ricevuto il mandato dall’Associazione Ticinese di Cremazione che ha deciso di intitolare il Tempio di Lugano a Emilio Bossi (l’annuncio fra qualche giorno). Fu lui, quasi un secolo fa, il 4 novembre 1913, a tenere il discorso ufficiale in occasione della posa della prima pietra del Tempio, dopo la sentenza del Tribunale federale che respinse il ricorso inoltrato da esponenti del Partito conservatore contro la cremazione. Nel saggio, appena pubblicato da FontanaEdizioni, Edy Bernasconi evoca le parole taglienti che Bossi ebbe per quella Chiesa che, più tardi, ammise gradualmente una pratica diventata comune nella società civile; tanto che da qualche anno anche il Mendrisiotto dispone di un tempio funzionale, sobrio e accogliente per il commiato dai nostri cari, situato a Chiasso, in cui fra le vie principali c’è pure da tempo immemore quella intitolata al libero pensatore di Bruzella.