
Nel giardino, sul terrazzino appena rialzato del Centro diurno comunale di Chiasso, quattro signori – a occhio pensionati – giocano a carte. Quando si passa sul marciapiede, si sente dalle loro risa e dalle litigate che sono contenti.
Villa Olimpia, così si chiama il centro, si trova a due passi da Casa Soave e Casa Giardino, dove vivono decine di anziani, che per la maggior parte hanno bisogno di essere curati in permanenza.
In genere, per andare a trovare i residenti nelle CPA ticinesi nelle loro camere, occorrono l’autorizzazione della direzione sanitaria e mille cautele; ma se l’anziano riesce a spostarsi, da solo o accompagnato, deve recarsi nella sala degli incontri, previo appuntamento, per vedere i famigliari; o all’esterno, in un apposito gazebo. Se la persona è in fin di vita, i famigliari possono entrare nella struttura.
È dal 29 maggio che nel pianeta della quarta età, attaccato brutalmente nelle prime fasi della pandemia, vigono queste limitazioni, ordinate dal medico cantonale. La vita sociale e comunitaria è diventata grigia, in certe case quasi spenta. I famigliari sono generalmente divisi tra due sentimenti: c’è chi spera, assumendosi il rischio del contagio, che si torni alla normalità, quella di prima, quando nelle case degli anziani si poteva entrare senza restrizioni; e chi, temendo di rivivere in Ticino i drammi di febbraio e marzo, preferisce che rimangano ancora il più isolate possibile, per salvaguardare la salute dei residenti. “Capisco questo sentimento – dice a l’Informatore Maria Luisa Delcò, alla testa del Consiglio degli anziani – ma credo che, a questo punto, dopo mesi di pesanti limitazioni, si debba fare una riflessione profonda, mettendo sulla bilancia la salute e la libertà; il concetto di salute non include soltanto l’assenza di malattie, ma anche il benessere, che inizia con lo star bene nello spirito, con il morale, nell’aspettare con gioia chi ti viene a trovare. Occorre davvero lavorare affinché sulla bilancia si crei equilibrio, che ora non c’è”.