L’idea di manicomio-villaggio e l’arte come terapia

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La storia della psichiatria pubblica in Ticino si intreccia con l’apertura dell’Ospedale neuropsichiatrico cantonale (ONC) nel 1898 a Mendrisio. Il quartiere di Casvegno, i suoi ampi spazi verdi dove sorgono i padiglioni, i suoi viali ombreggiati dove tutti hanno la possibilità di passeggiare in tranquillità, fanno da sfondo a una significativa porzione di vita dell’artista di origini luganesi Jean Corty al quale la Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate dedica la mostra Jean Corty (1907-1946): gli anni di Mendrisio. Opere dalla collezione del dottor Olindo Bernasconi che si può visitare fino all’11 ottobre.
Le peculiarità della struttura, all’origine denominata semplicemente Manicomio cantonale, sono oggetto di un interessante approfondimento storico-contenutistico che caratterizza l’esposizione e il ricco catalogo che la accompagna.
La genesi – come ricorda Giulio Foletti nel suo intervento “Appunti per una storia dell’Istituto psichiatrico di Mendrisio” – è stata travagliata. Il 21 novembre 1891 il Consiglio di Stato licenziava un messaggio in cui chiedeva l’autorizzazione per procedere allo studio e all’elaborazione di un Manicomio cantonale. Già in questo documento erano prefigurate le caratteristiche principali di un “manicomo villaggio” con i differenti padiglioni di cura e un’azienda agricola. Diverse opere di Corty esposte a Rancate ritraggono lavoratori impegnati nei campi; si trattava, con ogni probabilità, degli stessi pazienti che si applicavano ad attività di ergoterapia. Un secondo messaggio precisava i contorni della realizzazione sul territorio del Comune di Mendrisio. Il terzo è datato 1894; il Governo confermava l’impostazione secondo la quale “a questo istituto venisse tolta qualsiasi apparenza di carcere o di convento per dargli un aspetto d’una aggregazione di case, che poco si scosti dagli ordinari abitati, venisse scemata nei ricoverati l’idea della reclusione e adottato il lavoro come base della cura di tutti coloro che ne sono capaci” ricorda ancora Foletti.
La “battaglia” in Gran Consiglio culminò con il referendum: il progetto fu approvato dal popolo il 25 novembre 1894. L’adozione della Legge sull’amministrazione del Manicomio, il 30 novembre, chiuse infine il lungo iter legislativo.

Il Cantone “istituendo un moderno istituto terapeutico, si prendeva infine cura (dopo decenni di sostanziale abbandono) dei malati psichiatrici e dei molti disagiati che contrassegnavano gli strati più poveri della società” sottolinea Giulio Foletti.
La lunga vicenda della costruzione dell’Organizzazione neuropsichiatrica cantonale aveva portato, attraverso riflessioni e confronti con i vari modelli esistenti all’epoca in Svizzera e in Europa, alla realizzazione di una struttura all’avanguardia sia dal punto di vista edilizio che delle terapie in uso come spiega Alessandra Brambilla nel contesto del suo contributo “Corty a Mendrisio. Strutture e terapie per il trattamento delle malattie mentali tra ‘800 e ‘900”. Ci si era orientati tra i modelli possibili del manicomio chiuso, con una grande costruzione a blocco unico, e del manicomio-villaggio, con vari edifici sparsi per la campagna.
Prima dell’apertura del Manicomio cantonale, nel nostro Cantone non esistevano strutture preposte al trattamento degli infermi di mente che dovevano quindi recarsi lontano da casa – Milano, Torino e Como soprattutto – per ricevere le cure adeguate.


Gli anni di Corty
La scelta del sito, in campagna, dà ai ricoverati la possibilità di godere di un ambiente vicino alla natura, rilassante e rigenerante.
È la situazione che incontra anche il pittore Jean Corty durante il primo soggiorno a Casvegno che ha inizio il 23 agosto 1933. I diversi padiglioni edificati consentono di suddividere i malati per patologie: si vuole in ogni modo evitare che i pazienti si sentano dei “detenuti”.
A Mendrisio, come in tutti gli istituti più all’avanguardia dell’epoca – continua Brambilla – ha grande spazio la terapia occupazionale. L’ergoterapia tiene vive le attitudini sociali, il contatto con la realtà dà ai pazienti la possibilità di sentirsi parte attiva di una comunità e, non da ultimo, permette di migliorare le possibilità di un reinserimento nella vita quotidiana dopo le dimissioni. “Si offriva così – rileva – in alternativa alla rassegnazione che la cronicizzazione delle degenze imponeva, la speranza di una prospettiva di guarigione o comunque di un miglioramento tale che consentisse ai pazienti di non rimanere ricoverati per sempre”.
Il secondo soggiorno di Corty a Casvegno avviene tra il 23 agosto 1937 e il 2 agosto 1941. Il pittore dipinge alacremente. La sua attività viene fortemente sostenuta e incoraggiata dal suo medico, il dottor Olindo Bernasconi che credeva fermamente nei benefici che il lavoro e l’arte potevano apportare ai malati e aveva assegnato all’artista uno spazio per stabilire il proprio atelier. I suoi lavori autobiografici – che si possono ammirare in diverse sale della Pinacoteca Züst – mettono in luce la quotidianità della vita all’interno dell’istituto, con i suoi abitanti, i momenti di lavoro e quelli di svago e di riposo, sorseggiando un bicchiere di vino, giocando a carte e fumando la pipa.
Quello del lavoro è un tema centrale. Il Manicomio in quegli anni, come si fa notare nel catalogo che accompagna la mostra, diventa praticamente autosufficiente, producendo addirittura eccedenze che vengono vendute all’esterno. Casvegno è paragonabile a una vera e propria industria che offre impieghi ai residenti nella zona. Si batte anche moneta: i “marchitt” servivano in effetti per fare acquisti allo spaccio interno all’istituto.
Già dai primi anni successivi all’inaugurazione della struttura di Casvegno, il Manicomio ticinese diventa un modello per chi in Italia stava studiando l’opportunità di costruire un complesso analogo. I riflettori sono puntati su Mendrisio – evidenzia Brambilla – anche grazie alla personalità internazionale del direttore Paolo Amaldi. Non è un caso che propria a Mendrisio, nel 1906, si tiene una giornata del Congresso dei medici alienisti riunitisi a Milano, tra i quali Cesare Lombroso e Augusto Tamburini.
Gli approfondimenti contenuti nel catalogo permettono anche un confronto con altre realtà attive sul territorio ticinese e nella vicina Italia. In primo luogo la clinica Viarnetto di Pregassona fondata nel 1927 dal dottor Giovanni Bolzani. La sua idea è quella di realizzare un’alternativa non concorrenziale al Manicomio di Mendrisio: una clinica con una trentina di camere e le caratteristiche peculiari di una casa.
Un’altra struttura che presentava accenti simili era Villa Fiorita a Brugherio nei dintorni di Monza, inaugurata nel 1940: particolare attenzione era stata riservata dai fondatori agli svaghi e a un clima improntato alla serenità.

L’attualità del dibattito
L’attualità del dibattito sulla struttura mendrisiense è testimoniata anche dalla recente mozione sottoscritta da deputati al Gran Consiglio appartenenti a vari schieramenti (prima firmataria Claudia Crivelli Barella dei Verdi) che chiede che il Parco di Casvegno, con i suoi edifici di valore storico, venga inserito nell’elenco dei Beni protetti dal Cantone Ticino. I granconsiglieri insistono sulla qualità di ospedale-villaggio (uno dei punti di forza per il benessere dei pazienti) e ricordano che al momento dell’apertura dell’Ospedale psichiatrico cantonale, gli allora consiglieri di Stato Giorgio Casella e Achille Borella avevano messo l’accento proprio sul contesto paesaggistico.