(p.z.) “Vi lasciamo soli a tubare” ironizza un gruppetto di donne lungo la ramina, scostandosi di qualche metro da una loro amica che dall’altra parte della rete trova il marito. Siamo in pieno giorno immersi nella frescura del bosco fra Pedrinate e Chiasso nel punto più a sud della Svizzera e lui sospira… “ah questa rete, sembra di essere ai tempi della guerra; questa non è vita”. In questo periodo di restrizioni imposte dall’epidemia da Covid-19, non è facile stare separati per due mesi e mezzo e non sapere neppure quando si potrà tornare a frequentarsi. Non sono poche le famiglie o le coppiette rimaste divise dal confine, magari a poche centinaia di metri di distanza. Oltre a collegarsi via telefono o in video, la maggior parte di loro sceglie di vedersi e chiacchierare lungo la ramina, ma c’è anche chi osa di più. A piedi o in bicicletta, c’è infatti chi oltrepassa la ramina – soprattutto di notte – per ricongiungersi ai propri cari, figli o compagni che siano. Qualche ora insieme e poi si ritorna al proprio posto. Il buco che mostriamo nell’immagine a destra è inequivocabile ed è già stato “rattoppato” dalle guardie di confine che monitorano la situazione anche in questa zona,
ma poco più in là c’è un altro varco apparso di recente e in diversi punti, dove la ramina è fatta unicamente di rete da giardino e non si accompagna di piloni di ferro alti tre metri, si nota che la stessa è stata abbassata. “Conosco diverse persone che si ricongiungono con i loro cari passando da qui” spiega un uomo che cammina sul versante italiano.
Proseguiamo sul sentiero che costeggia la frontiera, sempre fra i rami del bosco, e un gruppetto di allegri signori ci richiama: “Per favore, fate qualcosa per fare aprire la vostra frontiera! Vogliamo tornare a fare la benzina da voi.” Sono tre uomini che sorridono e si parla di quanti ticinesi in tempi normali fanno tappa oltre confine per la spesa. Già perché chi vive entro pochi chilometri dal confine, sia da una parte che dall’altra, cresce con una mentalità diversa da chi abita da Mendrisio in su, spingendosi a nord. Sembrano quasi due mondi distinti. A ridosso della frontiera, si entra e si esce per lavoro, per acquisti, per il giornale, per il cappuccino, per il formaggio e il coltellino svizzero, per amicizie e amori. Un’elasticità che gli altri ticinesi non conoscono. Dalla parte svizzera del sentiero, alla rete, si passeggia senza mascherina, invece in terra italiana, a neanche un metro di distanza la mascherina è d’obbligo. “Siamo stufi di indossarla. Soprattutto quando si cammina e fa caldo”: stavolta è una famigliola che incontriamo. Il loro cagnolino si intrufola in una falla bassa della ramina e si abbraccia con il cane di due ragazzi momò che a sua volta non bada alle distanze sociali. Ridono tutti. I cagnolini non temono il contagio e non sanno neppure che quella è la rete che separa la regione Lombardia (focolaio dell’epidemia) dal Ticino (Cantone fra i più colpiti della Svizzera). Sembra di capire che tutti sono in attesa che la frontiera venga sbaragliata ma nessuno vuole tornare a vivere un altro picco del coronavirus. L’Italia meditava di aprire il confine il prossimo 3 giugno ma in queste ultime ore le autorità hanno fatto un passo indietro. In queste ore Roma ha espresso la volontà di alinearsi alla data del 15 giugno per l’apertura totale, come hanno previsto molti Paesi. Dal 3 giugno invece, potrebbero essere possibili i ricongiungimenti familiari. La Svizzera dal canto suo ha giudicato male la ventilata decisione unilaterale italiana di aprire le frontiere e non si sente pronta per questo passo. Mentre si aspetta che la politica dei due Paesi trovi un punto d’intesa comune, lungo la fascia del confine le persone si arrangiano come possono per non perdere il contatto con gli amati “vicini”. E la ramina, dopo le stagioni storiche dell’ultima guerra e l’epopea del contrabbando, nel 2020 ha un’altra storia da raccontare.