Cronofobia, due solitudini che si incontrano

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Cronofobia_Timoteo-Marchioni-©Imagofilm

La settima arte, dai fratelli Lumière in poi, accende passioni travolgenti. L’idea di “fare cinema” ha popolato i sogni di Francesco Rizzi fin dall’infanzia. Avido spettatore, prima, studente poi, è attualmente professionista in un ambito tutt’altro che scontato. Anni di gavetta vengono oggi ripagati da grandi soddisfazioni. Cronofobia, il primo lungometraggio diretto da Francesco Rizzi – che ha firmato anche la sceneggiatura – ha già collezionato importanti riconoscimenti in campo internazionale.
L’anteprima ticinese avrà luogo giovedì prossimo, 21 marzo: alle 18.15 al Palacinema di Locarno e alle 20.45 al Cinema Multisala di Mendrisio, alla presenza del cast.
Alla vigilia del debutto nelle sale “di casa”, l’Informatore ha incontrato il regista – cresciuto a Morbio e oggi residente tra il Ticino e Zurigo – che per il settimanale cura, mensilmente, la fortunata rubrica “I cantieri del cinema”.
Sono nato nel 1978 e sono cresciuto con la passione per il cinema e il bisogno di raccontare storie. Dopo le scuole superiori ho studiato Letteratura italiana e Storia dell’Arte all’Università di Friborgo. Mi sono quindi trovato di fronte a un bivio: ho deciso di fare sul serio e mi sono trasferito a Roma, realtà con la quale sentivo di avere un legame particolare, per frequentare una scuola di regia presso gli Studi di Cinecittà, e testare finalmente la mia motivazione in un contesto composito e “difficile”. I punti di contatto con il mondo del cinema sono stati molteplici: ho fatto di tutto, dalla comparsa all’aiuto regia. Ho seguito set importanti: da “Ocean’s Twelve” di Steven Soderbergh – dove ho potuto constatare come si lavora nella perfetta macchina di Hollywood – a “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Nel frattempo, con alcuni amici, ho aperto una piccola società di produzione che mi ha impegnato per una decina di anni tra realizzazioni per la pubblicità, il cinema, la televisione, girando corti e documentari.
Roma si è rivelata una palestra per allenare il talento. Come è avvenuta la svolta?
Il vero spartiacque è stato il concorso promosso dal Dipartimento educazione, cultura e sport del Canton Ticino, insieme a RSI, che mette a disposizione, ogni 4-5 anni, delle borse a sostegno della scrittura di progetti cinematografici. Con il primo trattamento di “Cronofobia” ho vinto una di queste borse. Mi sono quindi stati concessi tre mesi di tempo per trovare una casa di produzione e firmare un contratto. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con la Imagofilm di Lugano: è nata un’instantanea sintonia, direi epidermica, con Villi Hermann e Michela Pini che hanno apprezzato la storia e sposato il progetto.
Come è nata la sceneggiatura scritta a quattro mani con Daniela Gambaro?
Daniela Gambaro è una sceneggiatrice veneta, che ho conosciuto a Roma tramite un collaboratore di Matteo Garrone. Fino ad allora non avevo mai lavorato con una professionista. Daniela mi è piaciuta subito a livello umano; a lei la storia del film interessava e così è nata una collaborazione. È stato particolarmente stimolante il fatto di scrivere a quattro mani con una donna: il punto di vista femminile si è rivelato fondamentale per dare spessore ai due protagonisti del film che vivono un articolato dramma psicologico.
In fase di stesura della sceneggiatura, il progetto ha conosciuto un’ulteriore evoluzione. Sono stato infatti selezionato per prendere parte a un workshop internazionale a Varsavia, presso la scuola di Andrzej Wajda. Sulle prime, non lo nascondo, ero un po’ scettico. Ma ho dovuto ricredermi: ho ricevuto molti stimoli positivi, lavorando con tutor provenienti da tutto il mondo che mi hanno aiutato a tracciare una via senza tuttavia sconvolgere la mia idea iniziale.
Quali sono i tratti principali di “Cronofobia”?
Si tratta essenzialmente, come detto, di un dramma psicologico, di uno strano incontro fra due solitudini. Il protagonista è Michael Suter, un uomo misterioso, sempre in viaggio e in fuga da se stesso. Attraversa la Svizzera a bordo di un furgone; la notte si ferma per osservare in segreto l’esistenza di Anna, una donna dal carattere ribelle che vive isolata nella sua casa, rifiutandosi di affrontare una dura realtà. Tra i due si svilupperà una peculiare forma di intimità, un fragile equilibrio che sarà messo in crisi da un segreto oscuro.
Il titolo è intrigante e misterioso.
“Cronofobia” traduce la paura dello scorrere del tempo; la sensazione di ansia causata dall’incapacità di assaporare gli eventi importanti della nostra vita, che sembrano passarci accanto, senza che noi siamo in grado di viverli pienamente. Un disagio che avvertono in modo particolare le persone che vivono in condizioni di detenzione. Ho scelto questo titolo perché i due protagonisti della storia sono soli ed entrambi, in qualche modo, in una situazione di prigionia psicologica.
La scelta degli attori è particolarmente significativa.
Ho lavorato con una direttrice casting romana che mi ha suggerito il nome di Vinicio Marchioni per il ruolo di Suter. Molto popolare in Italia (la celebrità è esplosa con la serie “Romanzo Criminale”, ndr), non mi aspettavo che mostrasse interesse per il progetto di un regista svizzero esordiente, con poco tempo e un budget limitato a disposizione! Nonostante i molti impegni che lo occupavano tra cinema e teatro, dopo aver letto la sceneggiatura e avermi incontrato, ha invece dato la sua disponibilità e questo mi ha reso particolarmente felice.
Per il ruolo di Anna, da subito ho pensato a Sabine Timoteo. Non disponevo di un piano B: doveva essere lei la protagonista! L’avevo vista recitare dieci anni prima in una pellicola tedesca e mi aveva colpito per la sua particolare energia. Perfetta per la parte.
Ho scelto di lavorare separatamente con gli attori principali per evitare che si conoscessero. I due personaggi rimangono infatti estranei l’uno all’altro per buona parte del film: volevo che anche gli attori mantenessero questa stessa tensione sul set. Si è rivelata una scelta appropriata. Tutto si è svolto per il meglio: la loro esperienza e la disponibilità dimostrata mi sono state di grande aiuto.
C’è molta Svizzera e molto Ticino in “Cronofobia”, anche se l’immagine non è certo quella da cartolina.
Sono andato alla ricerca di ambienti che riflettessero l’animo dei personaggi. Spazi “neutrali”, dalle geometrie un po’ asettiche, dove si muove Suter-Marchioni. Mi hanno sempre affascinato questi luoghi di passaggio, o non-luoghi, che sono progettati per dare agli utenti l’illusione di un’intimità e dove le parole d’ordine sono funzionalità e standardizzazione: stazioni di servizio, alberghi, palestre, centri commerciali.
Al contrario, per la casa di Anna-Timoteo cercavo un ambiente vissuto, con una forte personalità. Con lo scenografo Georg Bringolf e il direttore della fotografia Simon Guy Fässler, abbiamo individuato un’abitazione ad Ambrì, con uno stile particolare che mi ha ricordato certe architetture di Frank Lloyd Wright, ma edificata con materiali locali: un mix perfetto.
Ringrazio ancora la coppia di proprietari che l’ha messa volentieri a disposizione della troupe per le riprese: un gesto per niente scontato!
Che sensazioni si provano a presentare il film in sala?
Bellissime! È interessante capire come persone molto diverse, con un background culturale magari distante dal tuo, recepiscano il film. A volte è anche un modo per scoprire cose nuove sul tuo lavoro. Nei vari festival, da Tallin alla Germania “Cronofobia” è stato accolto bene e adesso sono molto emozionato e curioso all’idea di vedere che effetto farà al pubblico ticinese.
L’avventura è solo agli inizi: quali sono i sogni nel cassetto?
Attualmente sto sviluppando il progetto per una serie TV: una commedia “politica” ambientata in Svizzera. Inoltre, continuo a scrivere anche per il cinema: ho diversi progetti e altre storie che aspettano.