
Ho provato sconcerto e irritazione giovedì 27 dicembre, sentendo dai mass media la notizia del licenziamento di una decina di collaboratori della Ferrovia del Monte Generoso, alcuni dei quali residenti nella regione e da tempo dipendenti della società.
O meglio, ho provato sconcerto e irritazione nell’ascoltare le motivazioni portate dalla responsabile media e marketing (“pubbliche relazioni” è ormai ritenuta denominazione non sufficientemente moderna) Viviana Carfi, secondo cui il personale, utilizzato nel settore della ristorazione e lasciato a casa alla vigilia delle festività natalizie, non aveva le conoscenze linguistiche e culturali per affrontare le richieste di una clientela largamente cosmopolita, quali ad esempio, sic dixit, l’ordinazione di un caffè.
Naturalmente il problema non sta tanto nella supposta inadeguatezza nell’affrontare le comuni mansioni quotidiane legate alla gestione di un servizio di ristorazione (che, per quanto onorevoli e per vari aspetti lodevoli, non domandano certamente l’ottenimento di diplomi di studi superiori).
Il problema ben più grave è dato dal persistere e dal prevalere di una mentalità tipica di una concezione del turismo sottomessa e asservita, che relega in secondo piano le peculiarità indigene, per lasciare il posto a un fragile e mal concepito, e ancor peggio praticato, internazionalismo, a un cosmopolitismo superficiale e apolide, in nome del quale si è pronti a ripudiare la propria identità per maldestramente plasmarsi su quella dell’occasionale ospite di turno.
Meraviglia poi che questo atteggiamento e queste motivazioni trovino casa presso una società, la Migros, che ha fatto della valorizzazione della cultura e dei saperi locali, e dei suoi prodotti, uno dei suoi riusciti cavalli di battaglia. Società che, tra l’altro, possiede una rinomata scuola in cui in poco tempo potrebbero essere dati i rudimentali strumenti linguistici e culturali necessari per svolgere le normali attività di un settore come quello in questione.
Cosa ci dobbiamo aspettare da questa ristrutturazione? Collaboratori, camerieri e inservienti, nuovi, che parleranno più lingue, discetteranno magari anche di cose colte (vista l’esigenza dichiarata di una cultura più ampia), ma che probabilmente, come insegnano tanti precedenti, poco o nulla sapranno della realtà locale, dei suoi luoghi, della sua gente, dei suoi usi, delle sue vicende.
Temi che, sospetto, siano poco noti anche alla signora Carfi, secondo cui la necessità di una migliore formazione è dovuta al fatto che “un tempo sul Monte Generoso si recavano per lo più persone locali, oggi invece arrivano da tutto il mondo”. Affermazione per lo meno strana, visto che non erano sicuramente i cittadini del Mendrisiotto e del Canton Ticino che in massa potevano permettersi il soggiorno nei lussuosi ambienti dell’Hotel Bellavista o, in seguito, dell’Hotel Suisse Schweizerhof, in vetta. Dove venivano accolti, per il servizio di “Dîner, Logis et Déjeuner Complet” da un buon numero di parenti del proprietario signor Clericetti e da un “nutrito stuolo di ragazze di Scudellate”, come ci rivela il bel libro La scoperta del Monte Generoso, curato dal Museo etnografico della Valle di Muggio, la cui lettura è consigliabile a chi vuole operare nel settore. Come sarebbe auspicabile, ma qui forse è pretendere troppo, la conoscenza del gustoso libricino di Luigi Lavizzari, Il Monte Generoso e i suoi dintorni, dove è riportato l’appello a venire sul Generoso a turisti “dalla lingua di Goethe, di Schiller, … dall’idioma di Corneille, di Fenelon,… dall’accento di Shakespeare, di Milton”.
Un’internazionalità numerosa e varia, per lo più benestante – vi giunse perfino la regina Margherita di Savoia – accolta tutta da gente del posto, sicuramente non dotta e non cognita delle lingue e delle cose del mondo, ma in grado di offrire quell’ospitalità, quel calore umano, quella genuinità, quella veridicità che si cerca e si vorrebbe trovare; al di là delle barriere linguistiche che, semmai, sono effettivamente tali soprattutto nella mente di chi concepisce un’offerta turistica prevalentemente tarata con parametri meramente e superficialmente economici.
Un proverbio africano recita: “il turismo è come il fuoco, può scaldare la tua casa, ma può anche bruciarla per sempre”. Con i presupposti sottesi alle motivazioni che stanno alla base dei licenziamenti effettuati, si può ben temere il peggio. Prepariamo gli idranti!
Franco Lurà