A Capolago la mostra di Ernst Frey, artista ligornettese d’adozione

0
1730

• (red.) “L’abbiamo voluta per far riscoprire al pubblico questo pittore di Ligornetto negli anni migliori della sua pittura”: così Milo Miler spiega il senso della mostra “Il profumo del moderno” inaugurata sabato scorso a Capolago con le opere di Ernst Frey che il pittore dipinse cent’anni or sono, tra il 1916 e il 1919.

Nato a Zurigo nel 1893 da una famiglia operaia, acquisì le competenze artistiche da autodidatta, pur avendo frequentato la formazione di pittura decorativa. Si sposò due volte con ricche signore, Lucie Bernhard e Isabel Brown, che gli garantirono una vita senza preoccupazioni materiali. Dopo aver abitato a Cazis nei Grigioni, a Ginevra e nel sud della Francia, Frey si stabilì nel 1946 a Ligornetto, nel villaggio dei Vela e dei Pessina; e nella nostra regione visse fino alla morte, nel 1971. Conobbe Ugo Cleis, suo vicino di casa, come lui ticinese d’adozione, valente xilografo, che con questa tecnica lo ritrasse. Il Comune gli intitolò una piccola via.
Giovanissimo, fu messo sotto contratto dalla Galerie Neupert, di Zurigo, già ben profilata, che gli permise di farsi conoscere nell’ambito delle tendenze moderniste che caratterizzarono il passaggio tra Otto e Novecento in Svizzera. Espose dunque al Kunstmusem di Zurigo, più volte alla Rassegna nazionale d’arte svizzera e alle esposizioni dell’Associazione artisti e scultori svizzeri.
Claudio Guarda, nella pubblicazione che accompagna la mostra, incolla con sapienza gli aspetti biografici e artistici di Frey scoperti finora, soprattutto per merito di Barbara Redmann e degli stessi antiquari di Capolago; “quel poco che si sta ricostruendo è per lo più frutto di ricerche svolte nel giro di quest’ultimo anno e tuttora in corso”, avverte Guarda, che comunque è riuscito a redigere quella che sicuramente è la migliore narrazione di Frey, che ai suoi tempi riscosse un buon successo, anche se dopo la sua scomparsa calò per decenni un cono d’ombra, come spesso capita agli artisti. Numerose opere, realizzate nei decenni successivi, non si trovano più.
Il valore del suo lavoro può essere misurato grazie al ritrovamento di un gran numero di oli datati 1916 -1919; si tratta “di una pagina di storia ritrovata, riemersa dopo un lungo silenzio, ma anche intrigante perché sul retro dei dipinti figurano i “timbri” di ben note gallerie che promossero in Svizzera l’arte moderna. Fra le caratteristiche dell’opera del pittore – il cui talento s’ispirava a Cézanne nella scomposizione dei colori e alle novità di Morandi nell’interpretazione delle nature morte – c’è l’assenza assoluta di figure umane: “nulla può attenuare il silenzio dei paesaggi e delle nature morte, la solitudine delle fabbriche; non c’è anima viva che percorra le sue distanze o animi i suoi paesaggi; non fosse per le chiome degli alberi mosse dal vento, monti, case, chiese, sembrano vivere in un tempo sospeso”, scrive Claudio Guarda.
La mostra è aperta fino all’8 dicembre, il giovedì, venerdì e sabato dalle 14 alle 19 o su appuntamento.