L’arbitro in campo con le nuove tecnologie

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Lugano, 27 ottobre 2016 - conferenza Panathlon Club Lugano - Francesco Bianchi, esperto di arbitraggio (FOTO CHIARA ZOCCHETTI)

La Nazionale svizzera è sempre un tema di attualità dopo le recenti picconate del Blick su Federazione e Vladimir Petkovic. Meglio sorvolare… In questa intervista Francesco Bianchi ci parla del ruolo dell’arbitro con l’avvento delle nuove tecnologie introdotte ai Mondiali.

Partiamo da Russia 2018: è d’accordo con coloro che lo hanno definito, tra gli altri il presidente ASF Peter Gilliéron, il più bello di tutti?
Credo che non si possa che parlare bene di questo Mondiale russo: sul piano organizzativo tutto è andato per il meglio: nessun incidente di rilievo per quanto concerne l’ordine pubblico, stadi nuovi o rimessi a nuovo, come il già pur bello stadio Luzhniki. Sul piano tecnico direi che non abbiamo sempre assistito a gare spettacolari, ma questo è assolutamente normale in una competizione del genere, dove si gioca per fare risultato e non per lo spettacolo. Qualche rara gara noiosa, ma anche qualcuna emozionante e soprattutto tante sorprese, legate alle eliminazioni precoci di Germania, Argentina, Brasile, Portogallo e alle prestazioni di ottima qualità di Belgio, Uruguay, Croazia e Francia. Un po’ deludente il calcio offerto dalle squadre africane. E se la FIFA vorrà ulteriormente allargare il numero delle squadre a 48, lo spettacolo certo non ne beneficerà. Lo stesso, del resto, lo si è visto in passato in Champions League, con la qualifica alla fase a gruppi di compagini poco organizzate.
Deluso anche del mancato traguardo (quarti di finale) della Nazionale rossocrociata?
Sì, tra le delusioni, almeno parziali, dobbiamo annoverare anche la Svizzera, che dopo aver fermato il Brasile e battuto la Serbia – pur con un po’ di fortuna e qualche decisione arbitrale non certo contraria – ha perso in personalità e autorevolezza con Costa Rica e soprattutto con la Svezia, squadra certamente ostica per ogni avversario – Italia docet – ma contro la quale i rossocrociati hanno offerto una prestazione modesta, senza idee, senza spirito combattivo. La partita più noiosa di tutto il Mondiale. E i nostri limiti sono emersi ancora una volta chiaramente secondo il motto “voglio ma non posso”.
Perché secondo lei quella passione autentica e viscerale, che si accendeva ai tempi, è viepiù andata spegnendosi? Dedizione sincera e incondizionata assente oggi puntualmente, fatte le dovute eccezioni, in giocatori e staff al momento del Salmo svizzero?
Non voglio qui riaprire discussioni o polemiche sulla questione delle origini etniche di alcuni giocatori svizzeri. Quando si vince, ci si passa sopra, ma se le cose non vanno come sperato, allora ecco che la pantomima del passaporto, doppio o unico, diventa un problema. Secondo me l’attaccamento alla maglia c’è stato soprattutto nelle prime due gare. Quando indossi la maglia di una nazione in cui sei nato e cresciuto, qualcosa dentro di te scatta, anche se la prestazione sul campo sembra dire altro. Anche Messi sul campo ha deluso, ma certamente le sue motivazioni erano forti. Io penso inoltre che non si possa pretendere che un giocatore dimentichi e rinunci automaticamente alle sue origini, siano esse albanesi, kosovare, turche, come nel caso del tedesco Özil, o congolesi come per il belga Lukaku. E non è giusto criminalizzare qualche giocatore (definito addirittura “facinoroso”) per essersi lasciato andare a gesti sicuramente improvvidi e inopportuni, soprattutto se vesti la maglia del Paese che ti ha fatto crescere, in tutti i sensi, ma che sono frutto di enormi pressioni – stadio palesemente ostile, insulti continui, inno fischiato – e di vicende storiche dolorose, le cui ferite non si sono ancora del tutto rimarginate. Un giocatore non può essere svizzero quando contribuisce a una vittoria e straniero quando la squadra e lui stesso delude. Io personalmente non misuro l’attaccamento e la dedizione attraverso il canto dell’inno patrio: già il fatto che ognuno lo conosca nella propria lingua d’uso è di ostacolo a un canto comune. Inoltre mi permetto di dire che tanti che cantano il salmo svizzero ignorano il significato di parole ormai obsolete o arcaiche che sarebbe ora di adattare a un linguaggio più vicino e vivo. Un giocatore, insomma, può astenersi dal cantare il salmo, ma lottare strenuamente per la vittoria.
Veniamo all’avvento della nuova tecnologia. Come un po’ tutti i cambiamenti apportati al regolamento di gioco del calcio, il VAR (o la VAR), si presta a discussioni, in generale comunque positive: gioverà all’arbitraggio?
Il campionato mondiale di Russia 2018 passerà alla storia per l’introduzione della tecnologia a supporto, a sostegno degli arbitri, la ormai a tutti nota VAR, che tradotta significa “Video Assistenza Arbitrale”. Il suo debutto può senza ombra di dubbio essere valutato positivamente: si è lasciata all’arbitro sul campo la responsabilità della decisione finale, si sono evitati alcuni – in verità pochi – errori decisivi, si è, come ha detto il presidente Infantino, ripulito il calcio, non da chissà quali morbi o cancri, ma dagli scandali che in passato avevano contraddistinto alcune edizioni. La VAR ha lo scopo di assistere l’arbitro, non di sostituirlo. Il connubio, la simbiosi tra uomo e tecnologia deve poggiare su precisi meccanismi e agire nel pieno rispetto di chiari protocolli, al di fuori dei quali ogni discussione lascia il tempo che trova. Tutto è ovviamente perfettibile, ma se il buongiorno si vede dal mattino, credo che l’arbitraggio ne trarrà giovamento. Gli arbitri al Mondiale sono stati di per sé generalmente bravi, perché ben preparati durante una lunga gestazione, l’assistenza VAR li ha resi migliori, anche nell’acquisizione di quell’umiltà necessaria per accettare di sottoporsi serenamente al giudizio della VAR, senza timori di perdere chissà quale alone di “santità” o di “potere assoluto” a cui sembravano legati.
Gli arbitri non potrebbero sentirsi sminuiti o magari infastiditi dalla presenza dell’occhio tecnologico?
Gli arbitri di oggi – parlo di quelli chiamati a dirigere le gare delle grandi manifestazioni – sono molto diversi da quelli del passato. Vivono da protagonisti (professionisti o semiprofessionisti) un calcio sempre più mediatico e devono essere pronti ad accettare che una loro decisione presa sul campo, in tutta onestà e consapevolezza, possa essere smentita o corretta o sindacata da un sistema che è nato per aiutarli, non per schiavizzarli, e nemmeno per penalizzarli. Gli arbitri hanno dimostrato duttilità, serenità e, come detto, umiltà. Entrano in campo con lo stesso spirito, quello di fare il loro meglio al servizio del calcio, consci che dal di fuori qualcuno li può aiutare in caso di errore. Una volta, e parlo per esperienza, non era così. Restavi inchiodato alla tua valutazione che ritenevi giusta e che invece si rivelava errata. Ti leccavi le ferite, talvolta profonde, subivi un linciaggio mediatico: ne sappiamo qualcosa io e i miei fidi assistenti dopo un rigore “farlocco” concesso da me al Sion contro lo Zurigo nel ’91 e su cui il Blick aveva ricamato per una settimana, per non parlare delle minacce di morte ricevute a casa tramite ogni mezzo. Gli errori arbitrali non scompariranno del tutto, come quelli dei giocatori, dei portieri – e il Mondiale ne ha evidenziati parecchi – o degli allenatori, ma certo non parleremo più di scandali e congiure.
Quindi, assolutamente sì al VAR?
Sì, il processo avviato è irreversibile. Ora bisogna vedere se anche nelle gare UEFA si arriverà all’introduzione di questo sistema, non facile da implementare in realtà molto differenti tra loro per disponibilità finanziarie, per infrastrutture tecnologiche e logistiche, per numero di mezzi umani (arbitri e ufficiali VAR). Occorre testarlo per almeno 6-9 mesi prima di passare alla fase “online”. In Svizzera potremmo verosimilmente salutarne l’avvento non prima della stagione 2019-20 oppure, ma sarebbe decisamente un ritardo nefasto per il calcio e soprattutto per l’arbitraggio svizzero, nella stagione 2020-21. Non è più tempo di perdere i giusti treni. Vedaremm…