Dal Seicento alla verticalità di Cavalli

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Anonimo lombardo, Ritratto della famiglia Rabaglio, 1780-1790.

Riunisce una trentina fra le sue più pregevoli tele seicentesche e settecentesche la mostra Dai Torriani ai Bagutti che il Museo d’arte ha inaugurato mercoledì. È consuetudine, infatti, che nel periodo estivo la struttura di Mendrisio presenti al pubblico una ricca selezione di opere delle proprie collezioni.
Nell’ambito della rassegna agostana, il Museo d’arte rende inoltre omaggio a un protagonista da poco scomparso dell’arte in Ticino del secondo Novecento: Massimo Cavalli.
Entrambe le esposizioni si potrano visitare fino al 16 settembre, da mercoledì a domenica dalle 14 alle 18 (festivi aperto). L’entrata è gratuita.
“Il Museo, fiore all’occhiello della città, da sempre offre mostre di qualità” ha sottolineato il capodicastero Paolo Danielli, intervenuto nell’ambito della presentazione. Un lavoro che non si esaurisce con la programmazione espositiva – che da ottobre accenderà i riflettori sull’opera del pittore Max Beckmann – ma che mira anche alla logistica, come ha osservato il municipale, e al mantenimento in ottima salute dell’edificio. Il prossimo obiettivo riguarda il radicale risanamento dell’impianto di illuminazione che permetterà di valorizzare ulteriormente il patrimonio artistico.

Artista innovativo e stimolante – nato a Locarno nel 1930 e scomparso lo scorso anno – Massimo Cavalli è stato un protagonista dell’arte in Ticino del secondo Novecento. Il Museo d’arte di Mendrisio, nel contesto della programmazione estiva, gli rende un doveroso omaggio, con un’interessante esposizione di undici olii, eseguiti tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, con trame complesse di segni e lame di luce che affiorano da una materia prosciugata; tele nelle quali a dominare è il senso di verticalità. Un’attenzione particolare è riservata anche alla grafica.
Cavalli, ha ricordato il curatore del Museo Simone Soldini, si è forgiato a Milano dove ha stretto significativi legami con il suo ambiente culturale, vivendo pienamente una stagione di rinnovamento e di fermenti artistici, quando il Ticino degli anni ‘50 e dei primi ‘60 viveva ancora un periodo di transizione. Cavalli è stato uno dei protagonisti di quella stagione nel capoluogo lombardo dove i suoi lavori sono stati esposti nelle più prestigiose gallerie cittadine.
In generale, ha proseguito Soldini, il Ticino di allora – dove l’artista si è stabilito definitivamente dalla fine degli anni Sessanta – faticava a capire Cavalli. Nondimeno ci sono stati nomi importanti del panorama culturale cantonale – Virgilio Gilardoni, Giovanni Orelli, Alberto Nessi, Giuseppe Curonici tra molti altri – che si sono attivati affinché Cavalli diventasse un autentico punto di riferimento. Molte rassegne gli sono state dedicate fino alla grande retrospettiva del 2006 al Museo cantonale.
L’omaggio mendrisiense si divide in due parti distinte: pittura e grafica. La prima si apre con un significativo confronto tra il dipinto del ‘57 “Cardi” – acquistato in passato dal Museo d’arte – e le opere degli anni ‘80-’90. Una serie d’impatto dove nero e verticalità rappresentano le dominanti. Quella di Cavalli – ha precisato il curatore – è una pittura molto architettata, influenzata dalla grande pittura francese; a partire dalla lezione di Paul Cézanne attraverso la pittura della seconda Ecole de Paris, fino alle spatolate nere di Pierre Soulages. Attraverso questa selezione si percepiscono i tratti fondamentali della pittura di Cavalli, caratterizzata da un calibratissimo controllo della luce che emerge dal fondo. “È un autore al quale ci si avvicina poco a poco” ha commentato Simone Soldini.
Prende in considerazione l’arco temporale tra il 1978 e il 1994 la sala dedicata all’opera grafica, suddivisa per serie, così come in effetti si presenta nel suo insieme (riunito di recente in un catalogo completo da Matteo Bianchi). È un laboratorio della pittura – ha suggerito il curatore – ma è anche un mezzo molto indipendente dove emergono trame e ritmi, energia, pregnanza del segno e mobilità nelle strutture. Con esiti particolarmente intensi tutti da ammirare.
Per ulteriori informazioni si può visitare la pagina www.mendrisio.ch/museo, scrivere all’indirizzo museo@mendrisio.ch o telefonare allo 058 688 33 50.

Fino al 16 settembre, i visitatori avranno l’opportunità di ammirare una selezione di opere appartenenenti al nucleo più antico della collezione del Museo d’arte. Opere seicentesche e settecentesche “poco esposte recentemente” ha osservato Barbara Paltenghi Malacrida, illustrando la trentina di lavori in mostra provenienti per tre quarti da donazioni.
L’esposizione procede per tappe cronologiche. La prima area punta i fari sul culto della Vergine, molto sentito in periodo di Controriforma. Apre la mostra una serie di dipinti riconducibili alle figure mendrisiensi di Francesco Torriani e del figlio Innocenzo, ambito nel quale rientrano anche le due tele con le sante Lucia e Apollonia e lo splendido stendardo della chiesa di Monte attribuiti al Maestro della Natività di Mendirsio.
Il contesto settecentesco vede una presenza molto attiva delle botteghe che hanno scandito la storia della regione lombarda subalpina. Un’attenzione particolare è riservata a Giuseppe Antonio Petrini di Carona, di cui il Museo d’arte ha recentemente acquisito una sanguigna che si può vedere nel contesto della mostra attuale. Grazie alla sua fiorente bottega e all’ampia diffusione della sua maniera attraverso seguaci come Giuseppe Antonio Torriccelli, numerosissime sono le tracce presenti nel Cantone.
L’ultimo ambiente concentra l’attenzione sul tardo Settecento. In questa sezione dominano opere allegoriche, immagini storiche e ritrattistica. I nomi maggiormente significativi sono quelli Carlo Innocenzo Carloni, originario della Val d’Intelvi, attivo soprattutto nell’Europa orientale, i Rabaglio, architetti e stuccatori di Gandria poi al servizio della corte spagnola, il locarnese Giuseppe Antonio Orelli, attivo nell’Italia settentrionale, Giovan Battista Innocenzo Colomba, di Arogno, che si muove tra Germania e Inghilterra, e Carlo Luca e Domenico Pozzi, della Valle di Muggio, attivi sia oltralpe che in Italia. La mostra si chiude – ha evidenziato Barbara Paltenghi Malacrida – con uno sguardo già rivolto al Neoclassicismo. Il Museo d’arte presenta una coppia significativa di dipinti di Giovan Battista Bagutti che con la sua bottega ha segnato profondamente l’arte del Mendrisiotto.