Un padre e un marito generoso

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Nell'immagine d'archivio, una giornata di porte aperte all'OBV di Mendrisio.

(red.) I famigliari di un uomo che ha perso la vita a seguito di un incidente sulle strade del Mendrisiotto hanno dato il proprio consenso alla donazione degli organi del loro congiunto. Ecco la testimonianza della moglie e di una delle figlie, con le loro parole semplici, resa a L’Informatore a nome della famiglia.

Io ce l’ho la tessera; l’avevo presa a scuola, quando abbiamo discusso del tema della donazione d’organi. Col papà parlavo spesso. Così gli ho mostrato, un giorno, la tessera. Non mi ha detto “non la voglio”, ma neppure “portala anche a me”. Così, quando si è trattato di decidere al posto suo, abbiamo detto di sì ai medici perché papà non aveva manifestato un’opinione negativa. Fra i suoi migliori amici c’è una persona che ha avuto bisogno del dono d’organi e sicuramente fra loro hanno parlato di questo tema. Sullo sfondo, però, c’è un’altra ragione: papà era una persona generosa, altruista, di compagnia; aiutava le associazioni del paese; avevi bisogno, e lui c’era. Anche sul lavoro. Appena c’è stato l’incidente, i primi a farsi vivi sono stati i colleghi di lavoro. Ognuno ci ha raccontato un aneddoto, un momento della loro giornata. Un buongiorno e un sorriso ce l’aveva sempre per tutti… Quando abbiamo deciso, nelle cure intensive del “Civico”, abbiamo pensato a questo tratto importante della sua personalità.

La donazione è stata di conforto, a me, alle figlie, ai famigliari e ai nostri amici. Lui vive nei nostri ricordi ma anche nelle persone che hanno ricevuto un organo da lui. Non sappiamo chi sono, né se la donazione ha avuto un buon esito. Ci hanno promesso una comunicazione per i prossimi mesi. Se n’è andato e la sua vita ha potuto essere d’aiuto ad altri. In quei giorni mi sono messa dalla parte di una madre che aspetta, con ansia, che il proprio figlio riceva l’organo in grado di salvargli la vita…

L’incidente è capitato a tarda sera, a poca distanza da dove abitiamo; tanto che l’abbiamo visto sdraiato nell’ambulanza, mentre gli praticavano la rianimazione cardiaca. L’ambulanza è ripartita piano, abbiamo capito che papà era in condizioni molto gravi.

La comunicazione con l’équipe dell’Ospedale Civico che l’ha avuto in cura è stata buona. Ci hanno tenuti informati in ogni momento, con chiarezza. Prima il paziente, ma subito dopo noi. Al momento dell’incidente è rimasto in arresto cardiaco per diversi minuti, ci hanno detto; poi il cuore ha ripreso a funzionare grazie alla rianimazione. Dal primo momento ha potuto beneficiare della respirazione esterna: il respiratore è stato indispensabile per evitare un aggravarsi delle sue condizioni. Ma c’erano lesioni nel cervello: gli esami radiologici hanno confermato una situazione irreversibile. C’era uno scompenso cerebrale. Poteva morire da un momento all’altro. O rimanere in vita, ma in che modo? Con quali conseguenze? Per sua volontà, mio marito non avrebbe mai accettato di restare al mondo senza godere della vita, senza potersi muovere, senza poterci parlare….

Suo padre non ha più la sua identità”, mi hanno detto, dopo la diagnosi. Una conclusione dura da accettare, ma era la verità. Ci hanno chiesto, allora, se avesse mai espresso la volontà di donare gli organi, se gli fosse successo qualcosa. È allora che ho raccontato ai medici e alle infermiere che si occupano delle donazioni della tessera che avevo mostrato a papà… Se fosse stato contrario, di sicuro ce l’avrebbe detto.

Abbiamo detto di sì. La procedura – ci hanno spiegato – prevede che dal momento della diagnosi si iniziano a contare 72 ore, entro le quali si aspetta la morte cerebrale. Se non vi sono sintomi accertati in questo senso nel periodo di tempo indicato, significa che la persona è viva e tutti i suoi organi funzionano. E dunque la procedura di donazione viene sospesa in modo definitivo.

Sono stati momenti assai difficili per tutti noi. Le condizioni di mio marito si erano stabilizzate, era un uomo forte. Infatti i medici ci hanno detto: “lasciate per il momento in disparte la questione del dono”. Hanno un grande rispetto per la vita, anche in questi momenti.

Ho capito che, trascorse quelle ore, avrei dovuto decidere io, insieme alle figlie, come andare avanti. Una decisione che non avrei mai voluto prendere perché le alternative sono due, entrambe drammatiche: sopravvivere in uno stato vegetativo o accettare una sedazione profonda, fino al decesso. Gli siamo state vicino… ci ha risparmiato una scelta così dolorosa … ha deciso lui stesso e se n’è andato prima che scadessero le 72 ore.

Dopo aver accertato la morte celebrale è iniziata la procedura per l’espianto degli organi. Al Civico c’è un’équipe specializzata che coordina l’intervento insieme a coloro che, nel frattempo, sono impegnati a trovare i riceventi. Ci hanno detto che l’intervento può durare anche 16 ore.

Sulla tessera di donatore c’è l’elenco degli organi che si vuole donare. Mio papà ha donato tutto: le cornee, le vene, le arterie, i polmoni, i reni, il pancreas, il fegato, il cuore. Ci farà piacere sapere, un giorno, che le persone che hanno ricevuto un organo da lui stanno bene. Hanno detto che per queste comunicazioni ci vorrà fino ad un anno.

Non abbiamo mai pensato che quanto avvenuto è stato merito nostro, nel senso che la donazione di organi ha potuto avvenire per una decisione che abbiamo preso noi. È stato un decorso naturale delle cose, della vita della nostra famiglia. In seguito, parlando con amici e parenti ci siamo rese conto che sull’argomento vige ancora grande disinformazione. La condivisione di questa esperienza è un invito a riflettere e ad esprimere la propria volontà, sia essa sì, voglio donare; o no, non voglio donare.

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In Svizzera la competenza in materia di dono d’organi è affidata a Swisstransplant. Sul sito swisstransplant.ch si trovano informazioni e approfondimenti.