) Il diritto dei residenti nelle case degli anziani di Chiasso di ricorrere al suicidio assistito è garantito da anni. Ma si deve fare in modo che le cure e l’ambiente in cui i residenti vivono le loro ultime giornate siano favorevoli alla vita e non alla morte. È il pensiero del Municipio di Chiasso che si è chinato su questo tema delicato dopo un’interrogazione inoltrata il 18 marzo. Era stato il consigliere comunale della Sinistra Marco Ferrazzini a chiedere se oggi è possibile soddisfare questo diritto nelle strutture comunali per gli anziani, visto che il Cantone non prevede questa pratica nelle proprie strutture, “a causa di una visione illiberale e bigotta”.
Nelle due case degli anziani di Via Soave e Via Franscini è dunque ammesso che la richiesta di un residente di por fine ai propri giorni sia accolta nel rispetto dell’ordinamento giuridico vigente. Ma poi c’è la questione etica, il cui riferimento si trova nel documento “Assistenza al suicidio nelle case degli anziani e negli istituti per adulti disabili”, redatto da Curaviva, l’Associazione che rappresenta gli Istituti sociali e di cura svizzeri. Nel documento si legge che chi chiede il suicidio assistito in una casa degli anziani “deve poter compiere il suo atto in questo luogo”, non avendo un altro luogo di vita al di fuori della struttura in cui risiede. Una questione di pari opportunità con coloro che possono praticare il gesto estremo al proprio domicilio. Diverso il caso delle case private che, se non ammettono la pratica, sono tenute ad informare i residenti al momento dell’ammissione.
Curaviva e altre associazioni-mantello si rifanno a loro volta alla Commissione nazionale di etica, CNE, che chiede il “rispetto dell’autonomia delle persone anziane o con andicap e del loro diritto all’autodeterminazione della propria morte e del momento in cui desiderano por fine alla vita”. Ma è la medesima CNE ad indicare che va fatto tutto il possibile per rendere la vita gradevole nelle case degli anziani, poiché l’obiettivo primario delle strutture socio sanitarie “deve essere quello di vegliare sulla vita ed evitare il più possibile il suicidio”; “la vita vale la pena di viverla anche in situazione di forte dipendenza da terzi”.
Indicazioni importanti che si traducono, nella realtà quotidiana di Via Soave e Via Franscini, nell’accettazione del suicidio assistito. Al momento, di solito difficile, del trasferimento dal domicilio alla casa di riposo, l’anziano e i suoi cari sono coinvolti in un progetto di vita, con la prospettiva delle cose belle che questa può offrire. Ma se per un motivo o l’altro, più tardi, le giornate diventano insopportabili e il residente chiede di farla finita, non lo si può costringere ad andarsene da un’altra parte. Questa, infatti – la casa degli anziani – è diventata la sua dimora e come qualsiasi cittadino al proprio domicilio, anche al residente va garantito lo stesso diritto. Non sono rari gli anziani che all’ammissione nella struttura informano i curanti e la direzione riguardo all’avvenuta iscrizione alle associazioni che si occupano del suicidio assistito. Porta chiusa, invece, alle persone che chiedono di entrare nella casa con l’intenzione di utilizzare questi spazi per togliersi la vita.
Il desiderio di morire affidandosi alle associazioni autorizzate e conosciute è sempre accompagnato da un confronto aperto tra tutti coloro che sono coinvolti: la persona stessa, i suoi famigliari, il medico curante, i curanti delle due case.