
Il giornale Insieme del Club ‘74 dell’OSC di Casvegno ha incontrato e intervistato l’operatore sociale di Castel San Pietro, Willy Lubrini (nella foto) che dal mese di febbraio è in pensione. Il giornale di Casvegno ha proposto alla nostra redazione de l’Informatore l’intervista che pubblichiamo volentieri nella parte che concerne le impressioni di Lubrini dopo 36 anni di lavoro a Casvegno. Si tratta di un contributo intenso che racconta la crescita professionale della persona ma anche e soprattutto i mutamenti avvenuti in questi decenni nella cura di chi presenta problemi psicosociali. Come è cambiato l’OSC in questi ultimi 36 anni? Ecco l’intervista.
Willy Lubrini in pensione. Per molte persone (ospiti e operatori di Casvegno) è una cattiva notizia, infatti in questi vari decenni in cui ha operato, Lubrini è diventato un importante punto di riferimento per molti rispetto sia ai diritti di cittadinanza che alla valorizzazione delle capacità e competenze degli ospiti riguardo in particolare al loro reinserimento comunitario.
Le chiediamo una presentazione personale.
Abito a Castel S. Pietro. Sono sposato con Monica e ho una figlia che si chiama Lisa. Il 23 marzo compio 62 anni; sono quasi 36 anni che lavoro all’OSC; ho iniziato che ne avevo 25. Ho una formazione di infermiere psichiatrico e di educatore. Sono figlio del ‘68; mi sono formato in una scuola commerciale a Chiasso, poi ho lavorato 6 mesi in una banca, in seguito operaio in una fabbrica di campanelli, poi calciatore semi-professionista nel Chiasso e nel Mendrisio. Sono stato un giocatore con un rendimento fortemente incostante, a corrente alterna. Nel 1980 ho iniziato la scuola di infermiere psichiatrico, a Casvegno. Alla ricerca affannosa di dare un senso alla vita. Aiutare gli altri mi ha aiutato nella ricerca, malgrado gli inevitabili dubbi, errori e difficoltà. È un mestiere difficile, coinvolgente e ricco di umanità. Se dovessi fare un bilancio, è più quello che ho ricevuto di quello che ho dato.
Come ha conciliato la politica con la realtà sociale e come ha vissuto i cambiamenti in ambito psichiatrico? Come vede lei l’evoluzione dell’OSC?
Sono stato 25 anni in Consiglio comunale e 8 in Municipio, sempre a Castel S. Pietro. Attivo nel sindacato, per una quindicina d’anni presidente della Commissione del personale OSC. Negli anni ’80 abbiamo iniziato a lavorare e vivere nel “manicomio”, una istituzione deprivata delle regole fondamentali di uno stato di diritto e dove governava una dittatura medico-burocratica. “Manicomio” vuol dire sostituirsi all’altro, pensare e decidere per l’altro… naturalmente sempre a fin di bene. Una relazione nell’ambito della quale è negata la contrattualità terapeutica e il diritto all’autoderminazione. Con l’approvazione della Legge socio-psichiatrica (LASP) – votata nel 1983 ed entrata in vigore nel gennaio del 1985 – si cominciarono ad applicare i principi fondamentali che regolano un paese democratico e le norme previste dalla LASP la cui finalità prioritaria è la difesa della libertà personale. Fu un’impresa difficile e impegnativa ma quegli anni non mancavano di ideali ed entusiasmo. Lo scarto tra la realtà e gli obiettivi auspicati dalla legge era ampissimo e fu necessario impegnarsi a fondo e collettivamente. Non era sufficiente seguire la via gerarchica dettata dai regolamenti interni perché troppo macchinosa e burocratica. Pertanto si rese necessario l’impegno politico, culturale e sindacale. Era un susseguirsi di assemblee, convegni, dibattiti, verifiche e confronti con altre esperienze, letture. Per citarne solo alcune: Trieste e il pensiero di Franco Basaglia, la legge 180, gli scritti di Bruno Bettelheim, Goffman, Foucault, Borgna, Laing, Minkowski, Cooper. A Casvegno ci fu l’esperienza del Club ‘74 promossa da Ettore Pellandini, la SCOS (Scuola cantonale per infermieri psichiatrici) con direttore Silvano Dei Cas (scuola di buon livello che riuscì a formare un buon numero di operatori sociali e trasmettere una solida preparazione professionale e culturale). Il cammino verso l’umanizzazine della psichiatria iniziò con l’applicazione della LASP. Non furono le scoperte in ambito delle scienze psicologiche, psichiatriche e sociologiche a determinare il cambiamento, ma il conferimento ai pazienti psichiatrici dei diritti civili, (fra i quali il diritto di ricorso) sociali e politici. Una riforma che ha modificato il rapporto di potere tra paziente/curante, storicamente sbilanciato a favore del personale medico-infermieristico. Ora erano due cittadini con gli stessi diritti e doveri che s’incontravano nell’ambito di una relazione d’aiuto: un incontro autentico, aperto come deve essere quello tra due esseri umani, non più condizionato dal pregiudizio della diagnosi e incanalato negli aridi paradigmi del normale/anormale, razionale/delirante,malato/pericoloso. Per gli operatori ha pure voluto dire sbarazzarsi di un vecchio sapere e intraprendere nuovi percorsi formativi come supervisioni, aggiornamenti e confronti con altre esperienze. La LASP ha imposto una riforma organizzativa-istituzionle della psichiatria pubblica con la settorializzazione, la centralità operativa nel lavoro d’équipe multidisciplinare secondo un modello partecipativo e non più verticistico, tutela dei diritti e in particolare creare le premesse per garantire un’assistenza adeguata nel rispetto delle libertà individuali. Si sono così potuti concretizzare progetti individuali di reinserimento, l’apertura dei servizi esterni, strutture intermedie, foyer, ecc.
Poi nel 1990 ci fu il progetto del CARL (Centro Abitativo Ricreativo e di Lavoro).
Fu molto dibattuto e contestato da parte dell’assemblea del personale perché non lo si voleva realizzare nel perimetro del quartiere di Casvegno ma insediare all’esterno. Per uscire da quella situazione di stallo fu istituita una Commissione mista (Direzione OSC, rappresentanti del personale, DSS) che avrebbe dovuto trovare una soluzione condivisa. Purtroppo, non fummo in grado di proporre una concreta alternativa. Come reagì il personale? Si fece buon viso a cattiva sorte, e nel 1994 ci rimboccammo le maniche e ci impegnammo alla creazione del CARL e alla ristrutturazione di Casvegno in due strutture separate: CPC e CARL. Personalmente ho lavorato 9 anni al CARL come coordinatore, di cui 6 anni in Ginestra e 3 in Villa Alta, condividendo una bella esperienza. Ora, a più di 22 anni dall’apertura credo sia necessaria una valutazione di questa importante istituzione, nello specifico mi riferisco all’art. 5 della LASP: “l’utente ha diritto a un’assistenza adeguata e in modo particolare: a) ad essere mantenuto, se non controindicato, nel suo ambiente sociale e familiare (…)”; e all’art. 7 cpv. 2: “ogni settore è dotato di UTR commisurate alle esigenze della sua popolazione (…)”. Sono convinto che il Sopraceneri, con i suoi 150’000 abitanti, necessiti di una UTR, una struttura leggera del CARL (foyer o appartamenti protetti) demedicalizzata per persone bisognose di un’assistenza terapeutico/educativa intensiva. Agli utenti del Sopraceneri si potrebbe così evitare un trasferimento non desiderato nel Mendrisiotto e offrire loro l’opportunità di continuare a vivere nel loro ambiente sociale e familiare.
Cosa pensa delle camere securizzate all’OSC?
Penso che la risoluzione governativa del 13 novembre 2013 con la quale è stata approvata la realizzazione di due camere securizzate in CPC, presso il Quadrifoglio 3, sia stata una decisione sbagliata. In queste camere vengono momentaneamente ospedalizzate persone provenienti dalle Strutture carcerarie (SC), difficilmente collocabili, potenzialmente pericolose per se stesse e per gli altri. È stato allestito un protocollo di collaborazione fra la CPC e le SC nel quale vengono definite le competenze dei medici della clinica e delle SC, l’aspetto della cura da quello della sicurezza. Ho avuto modo di collaborare nella presa a carico di alcuni pazienti ed ho potuto constatare come queste persone siano costrette in condizioni di eccessivo isolamento. L’art. 40 della LASP specifica che “(…) l’isolamento in luogo chiuso è vietato, riservate imperative esigenze terapeutiche”. Purtroppo nella gestione delle camere securizzate prevale l’aspetto della sicurezza rispetto alle esigenze terapeutiche, e in queste condizioni di isolamento eccessivo è difficile se non impossibile curare attraverso la relazione e la socioterapia. Quale può essere l’alternativa? Abbiamo avuto l’opportunità di curare la stessa persona in CPC e all’interno della SC. Nella SC la persona subisce paradossalmente minori tempi d’isolamento, gli operatori hanno l’opportunità di stabilire un contatto relazionale e il paziente può mantenere minime relazioni sociali (l’ora d’aria, accesso allo spaccio, visite dei famigliari, visite in farmacia).
Ora, in prospettiva di una prossima ristrutturazione delle carceri e del servizio medico psichiatrico, sarebbe opportuno, da parte della Direzione OSC, che partecipa ad un gruppo di lavoro ad hoc, ascoltare le osservazioni e le considerazioni degli operatori della CPC – Quadrifoglio 3 e dell’Equipe Progetti Complessi che hanno attivamente partecipato all’esperienza delle camere securizzate ed hanno accumulato elementi sufficienti per esprimere una valutazione. Ribadisco la mia idea: la presa in carico psichiatrica dei detenuti nelle Strutture Carcerarie è più funzionale se esercitata all’interno delle stesse strutture.
Cosa può dirci della sua collaborazione in favore dei giovani?
Negli ultimi 15 anni di lavoro ho avuto l’opportunità di lavorare con 3 progetti che riguardavano principalmente giovani adulti. Il primo, nel 2002, è stato il Progetto giovani al CARL, un appartamento in Villa Alta per giovani al primo scompenso psicotico, sviluppato in collaborazione con la CPC e con l’Ufficio AI per l’osservazione sociale e professionale. L’idea è di far beneficiare queste persone di una riabilitazione sociale e professionale attraverso l’accompagnamento in un percorso di integrazione socio-professionale: da un ambiente protetto al contesto territoriale.
Nel 2006 l’apertura del progetto Casa Sirio di Breganzona, una struttura intermedia d’accoglienza temporanea per giovani adulti con problemi psicosociali (una vecchia pensione con una ventina di camere singole), con alcuni posti per studenti e apprendisti. Un luogo sufficientemente protetto, improntato su progetti individuali finalizzato al reinserimento sociale, lavorativo e abitativo. All’inizio ho lavorato con Laura e Adriana, successivamente con Carlito, Giovanna e Thomas. L’idea era di investire nelle capacità delle persone, favorire la partecipazione e dar credito in fiducia agli ospiti. Il percorso d’accompagnamento aveva come obiettivo lo sviluppo dell’autonomia individuale.
Nel 2010 ho iniziato a lavorare con l’équipe “Casi complessi” che si occupa della presa in carico intensiva e personalizzata di pazienti ricoverati presso la CPC. Insieme a queste persone si progettano percorsi di cura e di risocializzazione orientati verso il territorio. Nei primi anni abbiamo collaborato intensamente con l’Equipe mobile impegnata nel superamento della contenzione fisica perché le persone segnalate come “casi complessi” erano per la maggior parte legate al letto.
Nel 2011 abbiamo aperto l’appartamento al Centro sociale per accogliere 7 giovani pazienti provenienti dalla CPC. Da questa esperienza è nato il progetto Foyer Casa Mystral di Balerna.
Del lavoro con i giovani posso dire che è importante investire in risorse umane, operatori motivati e preparati, e favorire un sistema di opportunità nel settore dell’abitare e del lavoro. Ma prima di tutto con i giovani bisogna costruire dei legami relazionali significativi per cui bisogna stare con loro per poi poter costruire dei progetti condivisi.
Cosa ci può dire in merito alla contenzione ancora attuata nelle cliniche psichiatriche private?
Grazie al decreto legislativo votato dal Parlamento nel 2005 concernente la Pianificazione sociopsichiatrica cantonale 2005-2008 è stato possibile superare la contenzione fisica (cioè non più legare a letto i pazienti) con la decisione di aumentare personale infermieristico finalizzato al raggiungimento e mantenimento di questo obiettivo. Dal 2010 l’Equipe mobile, 10 infermieri coordinati dal dott. Thomas Emmenegger, è riuscita gradualmente nell’impresa di superare la contenzione: ora alla CPC non si legano più i pazienti: “Non più legacci, ma legami relazionali”.
Purtroppo la pratica di legare a letto i pazienti è ancora largamente utilizzata nelle cliniche psichiatriche private ticinesi. Una situazione non più compatibile con le nuove norme e i principi sanciti dalla LASP. Senza dimenticare che le cliniche private ricevono regolari sovvenzioni pubbliche: nel 2015 il contributo è stato di 11’500’000 franchi. È quindi lecito pretendere dalle strutture private l’armonizzazione della qualità delle cure a quelle erogate dalla psichiatria pubblica e il rispetto delle normative vigenti. Che fare? Il Consiglio psicosociale cantonale, nell’ambito della nuova pianificazione sociopsichiatrica, dovrebbe fissare nell’ordine delle priorità il superamento della contenzione fisica anche nelle cliniche psichiatriche private sovvenzionate con soldi pubblici. È giusto promuovere la collaborazione tra OSC e privato ma è ora di pretendere che agli stessi diritti (finanziamento pubblico) corrispondano stessi doveri. (…).