Le prime notizie da Pompei al m.a.x. museo

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Le prime illustrazioni.

L’anello di Carlo III di Borbone esposto per la prima volta, il bracciale serpentiforme della celebre Casa del Fauno, bassorilievi in marmo, piccole teste in bronzo e marmo, oggetti di uso quotidiano, una lucerna, un calderone, un tripode, una pàtera (scodella molto bassa usata nell’antichità greco romana per offrire bevande agli dèi, o semplicemente per specchiarsi…) e alcuni diversi frammenti di affreschi: sono alcune delle 300 rarità proposte da domani sabato 24 febbraio al 6 maggio al m.a.x. museo di Chiasso in occasione della mostra di documenti che riguardano la scoperta di Pompei ed Ercolano, le due città sepolte dalle eruzioni del Vesuvio nel primo secolo dopo Cristo, riportate guadualmente alla luce dagli archeologi a partire dai primi decenni del Settecento.

S’inizia dalla metà del Settecento, quando studiosi e appassionati dell’antico incominciano a descrivere, attraverso delle lettere, i ritrovamenti, inizialmente sporadici e casuali, poi sempre più consistenti. Alla fine del medesimo secolo, il Grand Tour, primordiale “organizzazione turistica” che inviava in Italia, alla scoperta dei monumenti classici, viaggiatori colti del Nord del continente, annovera già quale tappa obbligata Napoli, Pompei ed Ercolano, la cui fama raggiunge presto molti artisti, architetti, intellettuali all’opera in vari paesi europei.

Un vulcano tuttora pericoloso
Il vulcano, tuttora attivo e giudicato pericoloso a causa della popolazione molto numerosa che risiede nella zona del Golfo di Napoli, interruppe non solo la vita degli abitanti di Ercolano e Pompei – presi nel pieno delle loro attività – ma anche lo sviluppo delle due cittadine che, rimaste ormai disabitate, non continuarono a modificarsi come Roma o altre città di antica fondazione. Un evento che nella sua drammaticità ha portato fino a noi informazioni di inestimabile valore su quelle antiche civiltà, nonostante le due città siano state depredate.

I tomi dell’Accademia di Mendrisio
La trasmissione della conoscenza dei due siti inizia con le lettere in cui si raccontavano i primi ritrovamenti, per passare alle incisioni promosse dal sovrano illuminato Carlo III di Borbone con soggetto Le Antichità di Ercolano esposte: alcune delle relative matrici sono esposte a Chiasso. Da esse furono tratte delle stampe utilizzate per illustrare l’opera citata, raccolta in 8 tomi che appartengono all’Accademia d’architettura di Mendrisio; il sovrano aveva in animo di produrne ben di più, ma non ce ne fu il tempo, visto che per questi 8 occorsero 35 anni. In mostra, accanto ai tomi, le matrici in rame delle stampe, conservate a Napoli. Emozionanti anche le acqueforti di Giovanni Battista Piranesi e del figlio Francesco (in mostra ce ne sono una dozzina), i taccuini di viaggio con note scritte, schizzi e disegni acquerellati, come nel caso del nobiluomo inglese William Gell, il cui taccuino è esposto per la prima volta.
Sarà l’ingegnere svizzero Karl Jakob Weber, di Svitto, a portare alla luce la famosa “Villa dei Papiri” di Ercolano. Quando ancora gli scavi non sono conclusi, Weber, in modo visionario, riesce già a disegnare il Teatro di Ercolano; questa ed altre piante, eseguite a metà del Settecento, sono riunite per la prima volta a Chiasso. Fra le pubblicazioni a stampa illustrate si possono ammirare le Antichità di Pompei (1831) di Luigi Rossini, le magistrali litografie acquerellate, le bellissime gouaches estemporanee che ritraggono scene quotidiane di scavi, fra cui quelle di Luigi Capaldo.

Le lettere a Simone Cantoni
Nel periodo della Restaurazione, la Real Casa Borbonica affida la direzione degli scavi (1831-1844) all’architetto-archeologo ticinese Pietro Bianchi, che, studiando preventivamente le aree di scavo, accelera i lavori e scopre la celeberrima “Casa del Fauno”. Tutto viene documentato da piante e disegni molto precisi, realizzati in scala e acquerellati dai suoi collaboratori. Non fu, il Bianchi, l’unico ticinese: negli anni, in epoche diverse, si recarono in quei luoghi Gaspare Fossati, Domenico Fontana, Giocondo Albertalli; e Simone Cantoni, al quale sono indirizzate alcune lettere da parte del direttore degli scavi Francesco La Vega, scopritore del Tempio di Iside nel 1764.
A fine Ottocento fa capolino la fotografia, che si afferma come il nuovo mezzo di riproduzione dei reperti e delle aree archeologiche. Le immagini realizzate da Giorgio Sommer, Robert Rive, Giacomo Brogi e dai fratelli Alinari (con cavalletto e un punto di vista molto alto: sembrano quasi realizzate con un drone…) ritraggono Ercolano e Pompei, a seconda della prospettiva adottata, con una significativa ampiezza d’orizzonte, mostrando il Foro, le domus, il teatro, l’anfiteatro, la casa dei gladiatori, le terme, come già era avvenuto con le tele acquerellate in precedenza.
Infine, all’inizio del Novecento, sarà il turno delle prime cartoline in litografia o cromolitografia per veicolare le immagini dei luoghi visitati. Ercolano e Pompei si rafforzano quali mete “obbligatorie” del nascente fenomeno del turismo.